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FORTUNA FASANO

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14) 6 ottobre

Zola, appena alzato, compì il suo giro per i boschi anticipando l’orario rispetto al solito. Sua figlia Anna si era accorta del cambiamento e la sera prima gli aveva chiesto: “Come mai babbo, esci quando è ancora buio?”
“Te ne sei accorta?.. .E’ per essere il primo a passare nei sentieri dove stanno i funghi. Dopo le giornate di pioggia molti raccoglitori improvvisati si spingono da queste parti, distruggono tutto, strappano dalla terra anche i funghi velenosi, che pure hanno la loro utilità nella simbiosi naturale. Ma il peggio è che queste persone usano buste di plastica, rastrelli; scavano e inquinano portandosi via le preziose spore che, se usassero dei cestini, ricadrebbero a terra”.
“Val la pena di perdere il sonno per essere il primo a passare tra i boschi?”
“Sai bene, Anna, che più di cinque-sei ore non riesco a dormire, perciò, alzandomi presto non soltanto non perdo sonno, ma guadagno tempo”.
“Si, lo so. Almeno però copriti bene che con quell’umidità non ci vuoI molto a buscarsi un malanno!”.


Il vecchio aveva ascoltato i suggerimenti di sua figlia e indossato un cardigan di lana. Il pretesto dei funghi gli serviva per uscire presto e tenere la situazione sotto controllo. Ormai conosceva gli orari e le abitudini di Fortuna che alle prime luci dell’alba veniva fuori dal suo nascondiglio e camminava per circa mezz’ora. Zola la osservava dal luogo-osservatorio posto tra i ruderi della Sinagoga. Si preoccupava solo di verificare che la ragazza stesse bene e che si trovasse ancora nella fabbrica.
Non riusciva, per il momento a fare altro. Diceva a se stesso che un giorno o l’altro avrebbe dovuto trovare il modo di avvicinare la ragazza per parlarle, per cercare di aiutarla. Non voleva però spaventarla e attendeva quindi l’occasione buona per agire senza danneggiare nessuno. Era importante, per questo motivo, che lui capisse qualcosa di più di quella storia.
Doveva in ogni caso muoversi presto perché il giovane Lamin Moundou si trovava a pagare per un reato che non aveva commesso.
Tornò a casa e preparò il caffè. lo portò alla figlia, poi scaldò il latte per i nipoti e mentre erano tutti a tavola uscì sul portico ad ascoltare la radio.
Sintonizzò sul radiogiornale delle sette:

“La posizione di Lamin Moundou, il nigeriano arrestato per la scomparsa di Fortuna Fasano, si è fatta ancora più difficile. Ulteriori indagini degli investigatori hanno portato al ritrovamento di alcune gocce di sangue nella tappezzeria della vecchia auto del giovane di colore. I risultati delle analisi hanno confermato che si tratta del gruppo sanguigno della ragazza scomparsa. La versione che l’uomo dà per giustificare la presenza del sangue non contraddice la versione data durante il primo interrogatorio. Già dall’inizio infatti Lamin aveva raccontato che Fortuna, prima di salire in macchina, correndo per raggiungere la strada provinciale, era caduta battendo il ginocchio su dei sassi che l’avevano ferita. Questa esposizione dei Jatti però non convince del tutto gli inquirenti che rilevano altrettanti dubbi sulla presunta esistenza della fidanzata dell’uomo. La donna si chiamerebbe Helen e, partita per tornare in Nigeria, sarebbe attualmente introvabile. Intanto lo sciopero della fame di Lamin Moundou continua. Attualmente si trova ricoverato presso l’infermeria del carcere dove attraverso delle fleboclisi gli viene assicurato sia il nutrimento che l’idratazione corporea”.

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15) Ciaccolo 6 ottobre.

“Don Gaspare?”
“Che c’è Rachele?”
“Vi devo dire una cosa?”
“Cos’è un’altra delle tue fantasie?”
“Le fantasie sono di chi pensa. Io invece cerco, e chi cerca trova”
“Che hai trovato?.. .Sentiamo”.
“Non avevo guardato dentro i libri della bimba. Ieri li ho sfogliati uno per uno ed ho trovato questo foglietto”.
“Che cos’è?”
“Un conto delle calorie”
“Sono cose di scuola allora...”
“Leggete!”
Gaspare lesse:

CALCOLO DI CALORIE, CARBOIDRATI. VITAMINE, PROTEINE NECESSARIE ALLA SOPRAVVIVENZA.
Sesso femminile, peso 53, altezza 1,65:
razione quotidiana:
CALORIE = 2000
PROTEINE = 55
VITAMINE LIPOSOLUBILI = A U. I. 5000/ D U. I. 400/ E U. I. 25
VITAMINE IDROSOLUBILI = C mg. 55/ fol. mg. 0,4/ Niae. mg. 13/ Ribofl. mg. 1
MINERALI = ca g. 0,8 / P g. 0,8 / I mg. 100/ Fe mg. 18/ Mg. mg. 300
LIOFILIZZATO DI MANZO g.20 = proteine 12,50 – Valore energetico Kcal
CICORIA g. 100 = Proteine 1,32 - Grassi = 0,49 - Carboidr. = 3,44 Calorie = 22,704
FUNGHI g. 100 = prot. 5,15 - Lipidi 0,30 - Glicidi = 4,36 - Calorie = 41,721.
ALTRO
Liofilizzato g. 20 = L. 4.500
Salvadanaio = L. 950.000
L. 950.000:
L. 450.000 = n. 100 Liofilizzati
(acquistando 100 liofilizzati spenderò quattrocentocinquantamilalire. Mi avanzeranno 500.000 lire per il biglietto del treno e altri acquisti)

Gaspare e Rachele restarono muti per un po’ dopo che lui aveva finito di leggere gli appunti di Fortuna. L’uomo osservò il foglio e lo ripiegò. Poi batté con forza un pugno sul tavolo di cucina e disse:
“E’ andata via!”
“Ma perché? Perché Madonna santissima!”
“Non riesco a capire!.. Tu piuttosto cerca di ricordare...Ti ha forse parlato di programmi di viaggi, magari con la scuola?” “No. A me non ha mai detto niente... Forse la sua amica Clelia potrebbe saperne qualcosa...Voi cosa pensate don Gaspare?” “Io mi infilerei la testa in un sacco per non vedere e non sapere quello che ormai è chiaro. Mia nipote è scappata!”
“Non è detto!”, dobbiamo capire meglio il significato di questo scritto... Dobbiamo parlare con le amiche di scuola, con Clelia...”
“Chiedi a chi ti pare. Informati. Io mi andrei a sotterrare per farla finita”.
“Non dite così! Tutto fa sperare in meglio in fondo. Se Fortuna è andata via possiamo credere che sia ancora viva”.
“Forse”, disse Gaspare.
Rachele uscì. Telefonò a Clelia per avvisarla che aveva urgenza di parlarle. Gaspare seduto in silenzio ripensava a che cosa aveva sbagliato nei rapporti con sua nipote.

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16) Ostia Antica, domenica 7 ottobre.

Marco e Valeria erano felicissimi. Il giorno dopo sarebbero andati in India col padre e con la madre. Marco aveva tracciato a matita, sulla carta geografica, il percorso che avrebbe fatto l’aereo per compiere quel lungo viaggio.
Come sempre, il mese di ottobre era da loro dedicato ai viaggi intercontinentali. Nando otteneva ogni anno, dalla sua compagnia, dei biglietti d’aereo completamente gratuiti per sé e per la famiglia. E nel passato avevano già visitato le Seychelles, le Maldive, le Galapagos e tutta l’Europa. Questa volta erano diretti a Goa in India, che secondo le indicazioni di amici che già ci erano andati, era una lussureggiante località sulla costa occidentale della penisola del Deccan.
Zola sarebbe rimasto a casa a riposare durante la loro assenza. Anna che andava via con un po’ di rimorso avrebbe raccomandato come ogni volta:
“Se ti occorre qualcosa telefona a Lory”.
“Va’ tranquilla e divertiti”, gli avrebbe risposto Zola come sempre.
Mentre il vecchio pensava ai lavori da fare per quel periodo, intorno a lui parlavano con entusiasmo del prossimo viaggio. Zola posò il giornale che stava leggendo. Marco incuriosito da un titolo lo prese per leggerlo.
“Che vuol dire rigurgito?”
“Cosa?”
“Qui c’è scritto: Un rigurgito di razzismo sta uccidendo un uomo di colore”.
“Vuol dire”, spiegò Zola, “vuoi dire ritorno di liquido, come il cibo quando dallo stomaco risale in bocca. Continua però a leggere, così capiamo...”
“Dice così”, riprese Marco, “Lo sciopero della fame di Lamin Moundou lo ha ridotto in condizioni fisiche gravi. Il giovane nigeriano ha avuto un collasso e i medici temono gravi ripercussioni sulla sua salute se egli non riprenderà a nutrirsi regolarmente. Finalmente la fidanzata, Helen Soukiba, è precipitosamente ritornata in Italia dalla Nigeria confermando la versione dei fatti fornita dal fidanzato. Nonostante questo Lamin non verrà scarcerato. Le macchie di sangue, del gruppo sanguigno della Fasano, trovate sui sedili della sua auto, compromettono seriamente la sua posizione. Helen SouKiba ha mandato un appello televisivo, chiedendo a chiunque abbia notizie della ragazza scomparsa di comunicarle agli inquirenti”.
Al termine della lettura Marco mostrò al nonno la grande foto di Fortuna Fasano nelle pagine di cronaca e quella più piccola di Helen Soukiba. Poi chiese:
“Che vuol dire razzismo?”
“Vuoi dire avversione verso gli stranieri. Verso quelli che hanno un colore di pelle diverso e una cultura diversa”.
“Perché?” si informò Valeria per partecipare anche lei al discorso.
“Perché, credo, che quando gli altri non ci assomigliano ci fanno paura”.
“Perché?” insisté la bambina.
“Perché le persone vogliono assomigliarsi”
“Assomigliarsi come?”
"Assomigliarsi per essere uguali nell’aspetto, per sentirsi più sicuri, per pensarla allo stesso modo ed evitare le brutte sorprese"
“Ma gli stranieri non ci assomigliano?” chiese Marco.
“Cercano di non assomigliarci per non perdere le loro tradizioni”, intervenne nel discorso il genero di Zola che era da poco uscito sul portico. “Qualcuno - aggiunse poi - definisce nuclei anfibi i gruppi familiari o amicali stranieri, perché riducono all’indispensabile i momenti di scambio e di confronto con l’esterno”.
“Sono in effetti il più delle volte comunità incapsulate che rifiutano di omologarsi” disse Zola.
“E secondo molti hanno ragione. Evitano di essere inghiottiti dalla cultura occidentale dominante e perdere la loro etnicità... Ma questi sono discorsi un po’ difficili per voi bambini...”.
La figlia di Zola li interruppe uscendo per dare il caffè a suo padre e al marito. Portò anche un vassoio con dei pasticcini fatti al forno quella stessa mattina.
“Papà, senti come sono venuti leggeri e friabili questa volta”.
“Ottimi!” confermò Zola, “ma ne hai fatti troppi. Domani partirete ed io non li finirò di certo!”
“Ne ho impastati un po’ in più per darli a Lory. Più tardi andrò a salutarla e glieli porterò ad assaggiare”.
“Mamma, tu sei razzista?”, chiese Marco
“No davvero. Perché?”
"Si leggeva il giornale insieme ai bambini e spiegavo loro il significato di questa parola, che è troppo impegnativa, secondo me, per la mentalità di noi italiani”, disse Zola.
“Beh, non direi!” dubitò Anna.
“Tu credi che siamo razzisti?”
“Da quello che si sente e si legge..."
“Quello che si sente e si legge non è razzismo”.
“No? E che cos’è?”
“Cuculismo!”
“Cuculismo, cuculismo... Ah, cuculismo!” disse Marco ridendo.
“Il cuculismo”, spiegò Zola, è la diffidenza che si nutre verso chi è pensato simile al cuculo”.
“Perché?” chiese Marco.
“Perché la femmina del cuculo depone un suo uovo nel nido di un uccello temporaneamente assente, e butta fuori, per creare il posto, un uccello della nidiata. Più tardi, come se non bastasse, il giovane cuculo fuoruscito dal guscio, si sbarazza dei suoi compagni di nido facendoli precipitare al suolo”.
“E allora?”
“Allora molte persone temono che possa loro accadere di essere buttati fuori dal loro posto, dalle loro case, e per questo motivo considerano gli altri come se fossero dei cuculi”.
“Ma questo non contraddice la teoria dei nuclei anfibi?” chiese il marito di Anna.
“No. Anzi la conferma”, disse Zola “perché il cuculo non ha scambi con l’uccello che butta di sotto. Rimane cuculo. Si sostituisce nel nido di un altro ma continua a mangiare, fischiare, vivere da cuculo”.
“Quindi lo straniero è un cuculo?” chiese Marco.
“Non ho detto questo”, precisò Zola. “Ho spiegato che chi ha conquistato un suo benessere, che è come un pezzetto di nido per un uccello, teme che ogni straniero che arriva sia un cuculo con intenzioni di danneggiarlo”.
“Se ne deduce che non è il vu cumprà che si teme” chiese Anna. “No. Infatti il vu cumprà è la figura più accettata. Si temono di più le persone preparate e pronte a tutto per farsi strada. Intendo dire pronte a qualsiasi sacrificio. Spesso chi emigra ha molti più numeri di chi è già residente. Se non altro per la forza di volontà di riuscire a superare una vita di stenti per sé e per la famiglia rimasta nel proprio paese. Poi fare il vu cumprà può essere un modo per incominciare a guadagnare, anche di persone magari colte e con altre attitudini”.
“Il tutto si riduce ad un discorso di egoismo!” disse Anna.
“Si”, disse Zola. “Un egoismo proporzionato al benessere, credo. Nel senso che chi ha molte certezze non teme cuculi”.
“Nonno, morirà quell’uomo del giornale?” chiese Marco.
“Se nessuno interverrà per aiutarlo può anche accadere che muoia innocente”.
Anna sorpresa per la sua affermazione disse: “Tu credi allora che la ragazza sia viva?”,
“Sì” rispose Zola. Quindi si alzò per andare a fare quattro passi. I ragazzi sedettero a guardare la televisione e Anna iniziò a preparare le valigie.
La piccola piazza Gregoriopoli, ombreggiata da fitte querce, era frequentata dagli anziani di Ostia Antica che, restando per gran parte della giornata all’aria aperta, godevano dell’eccezionale mitezza del clima di quell’anno.
Zola sedette in una delle panchine di legno, s’appoggiò allo schienale e scambiò qualche parola con gli amici di vecchia data. Al centro della piazzetta un’antica fontana piena di muschio ospitava enormi pesci rossi e delle anguille a cui Zola buttò poche molliche di pane. Li guardò mangiare. Stava fermo a osservarli nel tentativo di prendersi ancora un po’ di tempo prima di agire. Dopo poco, come uno che ha ormai deciso e per nulla al mondo può essere fermato, si diresse verso la cabina del telefono. Compose il numero del Messaggero. Disse al centralinista:
“Mi passa un giornalista della cronaca?”
“Vuol parlare con qualcuno in particolare?”
“C’è uno che scrive di quella ragazza sparita.. .Si chiama mi pare... Gorridoni”.
“Bene”, rispose la voce pregandolo di attendere in linea.
“Sono Gorridoni. Mi dica”, si udì quasi subito.
“Voglio far sapere a tutti che il giovane Lamin Moundou è innocente perché Fortuna Fasano è viva”.
“Da dove chiama?”
“Non posso dirlo... Dal Lazio... Io sono una persona anziana e lei deve fidarsi”.
“Mi fido. Si capisce dalla voce che lei è anziano. Spieghi però almeno perché ha telefonato”.
“Per aiutare quell’innocente”.
“E lei crede che una telefonata anonima possa aiutarlo?”
“Per incominciare sì. Scriva quanto le ho detto. Per ora può servire a dargli speranza”.
“E poi?... Perché non dice dove si trova la ragazza?”
“Assolutamente non posso. Vede, non è affar mio”
“Lei sa se è scappata o se altri l’hanno costretta?”
“Non lo so”.
“E’ sicuro che si tratti proprio di lei?”
“E’ lei”.
“Qualcuno la obbliga a stare dove sta?”
“Non mi pare”.
“Perciò è da sola!”.
“Credo di sì e non ritengo che resterà nascosta ancora per molto tempo"
“Cosa glielo fa pensare?”
“Non posso dire altro. Devo rispettare la volontà del mio prossimo. Ho solo cercato di aiutare quell’uomo accusato ingiustamente. Lei faccia quello che può”.
“Posso fare poco se non mi fornisce almeno una prova”.
Zola attese un attimo poi chiese:
“Una foto le basterebbe?”
“Sì, una fotografia potrebbe essere utile. Lei ha modo di scattare un’istantanea?”
“Spero”
“Allora provi, e se ci riesce mi richiami”.
“Mi farò vivo per lettera”.
Lamin Moundou era l’assillo continuo di Zola. Pensò quindi, per mantenere la promessa fatta al giornalista, di avvicinare cautamente la ragazza per parlarle. Non poteva fare altrimenti, né aspettare ancora.
L’indomani la vide uscire all’alba come al solito, le andò incontro cautamente. Lei lo scorse e si fermò. Lui la salutò con un cenno del braccio alzato, ma la ragazza spaventata corse velocissima verso l’interno della fabbrica. E da lì dentro non uscì per i due giorni che seguirono.
Zola nel frattempo si limitò ad osservare l’edificio da lontano durante le solite passeggiate mattutine.

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17) Latina 8 ottobre

I cartelli degli extracomunitari sollecitavano la liberazione di Lamin Moundou. Il folto gruppo di uomini e donne capeggiati da Helen Soukiba si era raccolto nella strada antistante il carcere di Latina. Alla donna era stato notificato un atto in cui la si avvertiva di tenersi a disposizione per ulteriori interrogatori e, nel frattempo, le era stato concesso di far visita al fidanzato che versava in gravi condizioni.
Andò al colloquio intenzionata a convincere Lamin a smettere lo sciopero della fame. Riferì di promesse da parte di alcune autorità, tra cui il vescovo della città e il sindaco. L’uomo però fu irremovibile. Non avrebbe toccato cibo fino a quando non fosse stato rilasciato rendendo pubblica e palese la sua innocenza.
Aveva al braccio l’ago della fleboclisi per l’immissione di sostanze nutritive. Tuttavia il suo aspetto era macilento e impressionante. Helen gli accarezzò le mani e iniziò a parlargli nella loro lingua. Cercò di infondergli coraggio ma lui rispose che l’angosciava il fatto che, nonostante il chiasso provocato dalla stampa e dai Media, Fortuna Fasano non si era trovata. Questo gli faceva temere che forse qualcosa di male era davvero accaduto alla ragazza, ed in quel caso per lui non ci sarebbero state speranze di salvezza.
Helen lo baciò ed uscì. La folla dei dimostranti in attesa le si fece intorno per chiedere notizie sullo stato di salute di Lamin. Lei spiegò che non c’era più tempo da perdere. Occorreva che tutti insieme cercassero di trovare una soluzione. Si diedero appuntamento in un locale nelle vicinanze per il giorno dopo.
Quella sera però una sorpresa l’attendeva nella piccola pensione dov’era alloggiata. La proprietaria, una gentile signora che era al corrente della sua vicenda le si fece incontro appena la vide per dirle:
“Buone notizie signorina Helen!”
“Che notizie?”
“Il Messaggero scrive che domenica qualcuno ha telefonato alla redazione per dire che Fortuna Fasano è viva!”
“Viva, dove?”
“Qui nel Lazio”.
“Dove?”
“Non ha detto di preciso, ma pare che l’uomo manderà una foto della ragazza”.
“Dio ti ringrazio!” e abbracciò la donna per piangere sulla sua spalla.

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18) Ostia Antica, lunedì (notte tra l’8 e il 9 ottobre)

Le due dopo mezzanotte. Zola uscì ringraziando Dio di trovarsi, in quei giorni, a casa da solo. Questo gli permetteva di agire senza dare spiegazioni alla famiglia. Gli era stato detto che l’orario tra le due e le tre è quello di solito scelto dai ladri per i loro colpi notturni. Pare che a quell’ora chi dorme non avverta rumori per la fase di sonno profondo in cui si trova. Lui, che doveva rubare solo un’immagine, aveva paura di svegliare la ragazza.
Entrò dall’ingresso laterale. Salì illuminando le scale con una piccola pila. Si fermò per togliersi le scarpe e proseguì lentamente. Al primo piano vide le due porte nella parete di fronte, entrò a sinistra e fu nella stanza rossa. Fortuna dormiva avvolta nella coperta. Una sacca da viaggio piena di vestiti fungeva da cuscino. Zola mise in tasca la pila, prese la Polaroid, inquadrò, scattò. Il flash schiarì l’ambiente e Fortuna mormorò qualcosa nel sonno. Il vecchio restò al buio immobile e senza fiato. La ragazza però continuò a dormire tranquilla. Lui andò nel pianerottolo, estrasse la foto, accese la pila e vide l’immagine di lei nitida e chiara. Il mezzo busto della ragazza era inconfondibile anche se con gli occhi chiusi e le braccia alzate sui capelli. Si inquadrava anche un libro poggiato sul pavimento e se ne leggeva parzialmente il titolo. Il plaid infatti copriva parte della copertina:
“L’inquinamento da radionuc... nelle acque del Lazio merid...”
Sul frontespizio una piantina geografica illustrava un golfo. Era il golfo di Gaeta.

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19) Ciaccolo 13 ottobre

Il Messaggero aveva in prima pagina la fotografia di Fortuna Fasano. Non si capiva granché del luogo dove si trovava perché la luce del flash aveva rischiarato con poca profondità di campo.
I carabinieri mostrarono il giornale a don Gaspare e a Rachele per chiedere loro se riconoscevano la ragazza. Risposero affermativamente. L’avvocato di Lamin Moundou fece immediata istanza di scarcerazione per il suo assistito. Il magistrato che si occupava del caso dichiarò che esistevano numerosi risvolti da vagliare prima di decidere in merito, ma diede buone speranze al legale. Disse che avrebbe deciso entro breve tempo.
Una radio locale intanto trasmise un’intervista a Clelia Lanini, l’amica di Fortuna.
"Cosa pensa della foto pubblicata dal Messaggero?”
"Sono felice. Questo dimostra che Fortuna è viva"
“E prima cosa pensava. Aveva qualche speranza?”
“Sempre. Ho sempre saputo in cuor mio che la mia amica era viva”.
“Perché?”
“Ho pensato, come penso, che sia andata via per dei motivi suoi, importanti e gravi"
“Cosa glielo fa pensare?”
“Il suo comportamento nell’ultimo periodo prima di scomparire. Era seria, triste, parlava poco, non rideva. Tutto un comportamento anomalo rispetto al suo modo di essere. Lei era sempre stata gioviale, allegra, loquace..."
“Quindi, che cosa l’aveva cambiata?”
“Non so. Mi attendevo da un momento all’altro che si confidasse con me. Invece è sparita.
“Siete compagne di scuola?”
“Sì. Eravamo nello stesso banco dalle medie fino in quinta liceo. Poi lei ha voluto fare un corso da radiologa, io invece mi sono indirizzata verso quello da infermiera professionale”.
“Quindi le vostre strade si sono divise”.
“No, perché uscivamo insieme. Lei poi si interessava molto al mio lavoro. Si interessava alle malattie dei bambini, si informava sulle anomalie...”
“Perché?”
“Non lo so forse la vicenda di sua madre la tormentava ancora?”
“Probabilmente... quella repentina scomparsa... credo sì... che non abbia mai accettato, né superato quel dramma... Odiava la Centrale..”
“Non aveva un fidanzato?” Negli ultimi tempi no”.
Cosa vorrebbe dire alla sua amica se oggi l’ascoltasse?”
“Di farsi aiutare. Di chiamarmi o scrivermi... Le direi che ho il cuore pieno di gioia perché oggi ho avuto la conferma che è viva.”

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20) Ostia Antica 14 ottobre.

Zola non riusciva a dormire. Erano le quattro del mattino e stava a letto in attesa che le prime luci dell’alba filtrassero attraverso le persiane. Udì il vento sbatacchiare la porta del pollaio e si alzò. La chiuse agganciandola bene. Fece il giro della casa, poi rientrò e si rimise a letto. Era solo. Non per la prima volta era solo. Per la prima volta però si sentiva inquieto.
Si vesti, fece colazione ed uscì. Si diresse verso il boschetto.
La fabbrica gli apparve oltre i pini. Osservò l’ingresso da cui di solito Fortuna usciva e attese.
Un rumore alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Era un topo. Lo vide scendere da un tronco fino a terra. Cambiò posto. Si andò a nascondere dietro un fitto cespuglio di corbezzoli. Aspettò con pazienza.
Passò mezz’ora. Poi decise di entrare per controllare che cosa fosse successo. Salì. Si fermò sul pianerottolo, sentì un gemito e restò immobile; indeciso se proseguire o tornare indietro. Udì ancora dei lamenti e a quel punto guardò nella stanza. Si affacciò piano e vide la ragazza sdraiata col viso contratto da una smorfia di dolore. Entrò allora e si fermò nel mezzo del locale, incredulo e timoroso.
“Lei!” disse Fortuna vedendolo.
“Sono qui per...”
“Mi aiuti!” disse Fortuna.
“Che ha?” chiese lui.
“Sta per nascere mio figlio. Mi aiuti!”
“Ma... l’accompagno in ospedale... chiamo qualcuno!”
“No. Non c’è tempo. Sta per nascere. Mi deve aiutare lei!..”
“Come?... Cosa posso fare?” disse il vecchio cercando di non perdere la calma...
“Le dirò io, mi ascolti...C’è dell’acqua bollita già pronta...”
“Cosa?...”
“Faccia presto!
”“Cosa?...”
“Prenda quel vecchio lenzuolo che è nella mia sacca e lo strappi in due pezzi. Uno lo dia qui a me, l’altro servirà per avvolgere il bambino... Ecco, ci siamo. Si sbrighi!..”
Zola eseguì. Le si accucciò accanto osservandola respirare con affanno. Tentò di dire qualche parola di conforto mentre il respiro di lei si faceva concitato. Col lenzuolo in mano si avvicinò il più possibile al corpo della ragazza perché vide la testina del bambino emergere. Fu pronto a prenderla delicatamente tra le mani, poi assecondò l’espulsione preoccupandosi di raccogliere il corpicino tra i suoi avambracci.

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21) Ciaccolo 15 ottobre

Nel bar della piazza alle sette di mattina gli avventori raggruppati vicino alla cassiera ascoltavano le ultime notizie del giornale radio:
La fotografia pubblicata dal Messaggero, pur non utile agli inquirenti per conoscere il luogo in cui si trova Fortuna Fasano, ha dato una svolta certa alle indagini chiarendo le motivazioni che avrebbero indotto la ragazza a fuggire. Un particolare della fotografia è stato infatti notato da un lettore del quotidiano che ha riconosciuto il frontespizio di un testo intitolato:

“L’INQUINAMENTO DA RADIONUCLIDI NELLE ACQUE DEL LAZIO MERIDIONALE” - La nostra redazione ha prontamente cercato il libro presso il suo editore e oggi è forse in grado di intuire che cosa preoccupa la ragazza di Ciaccolo...

Leggendo con attenzione le pagine del volume fotografato accanto a Fortuna Fasano, un senso di profonda angoscia ha pervaso ognuno di noi. Quello che stiamo per dirvi, probabilmente non corrisponderà totalmente alla verità. Noi speriamo anzi, con tutta la forza che possiamo esprimere, che neanche una parola di quelle scritte nel volume che adesso leggeremo, interessi minimamente Fortuna Fasano e i motivi della sua fuga da casa. Tuttavia, abbiamo un dovere di cronaca, ed abbiamo pure un dovere etico che, se fosse ve vero ciò che pensiamo, ci impone di parlare e diffondere questa vicenda dandole il massimo della pubblicità possibile, perché mai come adesso i mass media avrebbero compiuto il loro dovere. Leggiamo quindi qualche stralcio dal testo.
“Il mare che dalla foce del Volturno va fino al Circeo...”

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22) Ostia Antica 15 ottobre, ore 7,00

“Oplà, bellissima creatura, eccoti nato!” disse Zola con un moto di gioia.
“Com’è?” chiese Fortuna.
“Bambino magnifico!”
“Non ha difetti?”
“Assolutamente no!”
Fortuna chiese di vederlo. Il vecchio pulì il visetto del bambino col lenzuolo e glielo avvicinò. Lei iniziò a piangere piano e a raccontargli della sua convinzione di partorire un figlio malformato. Spiegò i motivi delle sue ansie, ma fu interrotta da nuove fortissime doglie che le toglievano il fiato.
“Che mi succede?”
“Attenzione!.. sta nascendo un altro bambino!” disse il vecchio.
Sì un altro!
"Spinga come prima! Su, che io sono qui pronto. Coraggio!”
Qualche minuto più tardi la testina venne fuori e, come era ma accaduto per l’altro nascituro, essa subì una rotazione spontanea verso la coscia sinistra della madre. Fu in quel momento che Zola poté vederne il volto e si accorse dell’unico occhio che esisteva in quel minuscolo viso. La gioia dell’uomo si trasformò in dolore e terrore.
“E’ Polifemo?” chiese la madre con la voce incrinata.
“Se intendi chiedermi se il tuo secondo figlio ha un solo occhio. devo risponderti di si” disse Zola che di fronte a quanto terribile le appariva il dolore di lei, ebbe voglia di abbracciarla. Non lo fece, ma le disse dandole del tu:
“Figliola, Dio misericordioso lo ha fatto nascere morto”.
“Morto?”
“Non respira. E’ un povero corpo senza vita. Non guardare. Non meriti di soffrire ancora.
“L’ho già visto”, disse lei, “Mi ero fatta l’ecografia già da molto tempo e quell’immagine è stata per me indimenticabile”. Poi pianse. Debolissima e stanca osservò il vecchio prendersi cura delle sue creature. Lo guardò con gratitudine, poi si estenuata chiuse gli occhi e si addormentò.
Zola vegliò su quel sonno e prese a leggere le frasi scritte sulle pareti rosse:

“ENFIN JUSTE APRÈS MIDI LE SOLEIL S'ÉCLIPSE DERRIÈRE LES PREMIERS ARBRES DU “BOSCHETTO”, DERRIÈRE LE COIN DE CE BÀTIMENT ET IL ÈTEND SUR L’HERBE L’UN DE SES RAYONS, QUI PRESQUE COMME UN SENTIER ÉVITE DE FLORER LES PINS DE SA LUMIÈRE INCANDESCENTE. ON RESPECTE, DE CETTE FAÇON, L’ORDRE NATUREL, QUI S’ÉTABLIT APRÈS LA CONSTRUCTION DE CE BÀTIMENT, MAIS DONT SONT ÉNORMITÉ N’ARRIVE PAS À ENVAHIR LA CALME ARCHITECTURE DE LA FLORE EXISTANTE.
MOI QUI ÉCRIS, J’AI LONGTEMPS MARCHÈ AVANT DE M’ARRETER ET JE VIS DANS CE LIEU DEPUIS TROIS MOIS J’HABITE UNE CHAMBRE QUE J’AI PEINT EN ROUGE AVEC DE LA PEINTURE TROUVÉE DANS DES POTS ENCORE NEUF OUBLIÈS DANS UN COIN DE L’ESCALIER. CHAQUE NUIT JE REVE QUELQUE CHOSE QUE JE N’ARRIVE PAS À BIEN COMPRENDRE, MAIS QUI MAINTENANT ME POUSSE À ÉCRIRE... AVEC DE LA PEINTURE PLUS FONCÉE SUR LE ROUGE DE CES MURS.
CHAQUE NUIT JE SENT PLEURER UN ENFANT. CHAQUE NUIT. SES VAGISSEMENTS RETENTISSENT DANS LE BÀTIMENT JUSQU’À CE QUE ME RÉVEILLE, MON COEUR BAT LA CHAMADE ET JE SUIS PLEIN DE PEUR.
DE QUI EST CET ENFANT?
POURQUOI PLEURE-T-IL?
JE N’AI AUCUNE RÉPONSE ET JE NE COMPRENDS PAS. JE N’AI PAS D’ENFANTS. JE N’AI LAISSÉ AUCUNE FEMME DANS LES VILLES QUE J’AI HABITÉES. JE N’AI PAS DE REMORDS. DE QUI EST ALORS CET ENFANT EN LARMES?”
S’IL S’AGISSAIT D’IL Y A QUELQUES MOJS. JE POURRAIS PENSER QUE CE SONT DE HALLUCINATION DU À L’UTILISATION DE DROGUES. SI CELA C’ETAIT PASSÉ À
BOMBAY OÙ À AMSTERDAM, JE NE SERA IS PAS INQUIETÉ DES DÉLIRES QUE LA FANTAISIE, ÉBLOUIE, ME PRÈSENTAIT AUJOURD’ HUI AU CONTRAIRE JE SUIS SOBRE J'AI VOULU VIVRE ICI AVEC LE PEU DE CHOSES DONT J'AI BESOIN POUR SURVIVRE ET J'AI REUSSI, LOIN DE TOUTS, À ME DÉSINTOXIQUER. PLUS PERSONNE NE M'OFFRE DU POISON LA MAGIE DE CETTE NATURE M'A SOULANGÉ ET ME SATISFAIT. JE ME SUIS RÉAPPROPRIÉ DE MON EQUILIBRE INTÉRIEUR ET DANS PEU DE TEMPS JE VAIS PARTIR DANS LE MONDE. JE SUIS FORT J'AI SOUFFERT, OUI, LE PREMIERS JOURS. JE DONNAIS DES COUPS DE POING AU MUR POUR ME FAIRE MAI. ET OUBLIER L'AUTRE DOULEUR; POUR SOURMONTER L'ABSTINENCE QUI ME BOULEVERSAIT L'ESPRIT ET LES VISCERE.
APRÈS, JE SUIS ARRIVÉ. JE SUIS FIER DE MOI. PERSONNE NE ME DONNERA PLUS DE POISON. JE SUIS FORT MAINTENANT. JE FAIS AUSSI PARTIE DE CETTE NATURE VIGOUREUSE QUI NE FAIT PAS D'ERREUR, ET QUI AU PIRE PRODUIT DES BLESSURES QUI SOIGNÉES SE GUERISSENT..."

(Finalmente, dopo mezzogiorno, il sole s’eclissa tra i primi alberi del “boschetto” e lo spigolo dell’edificio, stendendo sull’erba un raggio, quasi un sentiero, che evita di sfiorare i pini con la sua luce incandescente. Si rispetta, in questo modo, l’ordine naturale che si instaura dopo la costruzione dell’edificio, che enorme, non riesce però ad invadere la calma architettura della flora qui esistente. Io che scrivo ho camminato a lungo prima di fermarmi, e vivo in questo posto da tre mesi. La stanza che abito l‘ho dipinta di rosso con la vernice trovata in dei barattoli ancora nuovi dimenticati in un angolo della scala. Ogni notte sogno qualcosa che non riesco a comprendere bene, ma che mi spinge a scrivere adesso, con la vernice più scura sul rosso della parete. Ogni notte odo piangere un neonato. Ogni notte. I suoi vagiti riecheggiano nell’edificio fino a svegliarmi, col cuore in gola e la paura.
Di chi è figlio quel bambino?
Perché piange?
Non ho risposte e non comprendo. Non ho figli, non ho lasciato donne nelle città che ho abitato. Non ho rimorsi. Di chi è allora questo neonato in lacrime?
Si trattasse di qualche mese fa, potrei pensare che le mie sono allucinazioni dovute all’uso di droghe. Fosse accaduto a Bombay, o ad Amsterdam non mi sarei preoccupato dei deliri che la fantasia abbagliata mi presentava. Oggi invece sono sobrio. Ho voluto abitare qui col poco che mi serve per sopravvivere e sono riuscito, lontano da tutti, a disintossicarmi. Nessuno più mi offre veleni. La magia di questa natura mi ha lenito e mi appaga. Ho riacquistato un mio equilibrio interiore e tra poco andrò via a camminare per il mondo. Sono forte. Ho sofferto sì i primi giorni. Battevo i pugni sul muro per farmi male e dimenticare l’altro dolore, per superare l’astinenza che mi sconvolgeva la mente e le viscere. Poi ce l’ho fatta. Sono fiero di me. Nessuno mi darà più veleni. Sono forte adesso. Faccio parte anch’io di questa natura vigorosa che non fa errori, e al massimo produce ferite che medica te guariscono...)

Zola tradusse le frasi della parete rossa fino al punto in cui anche lui si addormentò.

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