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LOUIS, FANTASMA E AMICO

Un provvidenziale squillo di telefono mi fece sobbalzare, era la prima telefonata che ricevevo.
Poche persone sapevano del mio trasloco. Allungai il braccio cercando l’apparecchio fra le coperte, ma non feci in tempo a rispondere, pensai:
“Poteva essere Louis! Chissà se mi ha seguito o ha preferito restare nell’attico?“
Sorrisi all’idea del malcapitato che avrebbe occupato quell’appartamento dopo di me… non avrebbe fatto sonni tranquilli!
Una volta, Louis, fece scappare dalla paura un mio spasimante solo perché questi insisteva a volermi baciare: fu per un senso protettivo, per gelosia, o perché era uno spirito burlone?
Tutti i miei amici erano convinti che Louis fosse la mia Musa ispiratrice, colui che mi suggeriva come, quando e cosa dovessi scrivere… figuriamoci!
Veramente fui io a romanzare tutta la storia. I miei amici non potevano competere con la mia fantasia! La verità è che Louis capitò nella mia casa per sbaglio, mentre conducevo una delle mie tante sedute medianiche; gli piacque la mia casa, gli piacqui io e decise di restare di sua spontanea volontà… uno come lui non aveva certo problemi d’alloggio!
All’inizio quella “convivenza” non fu delle più facili, tanto che, un giorno, lo minacciai di chiamare un esorcista. Louis non si fece sentire per una settimana, poi una mattina, all’alba, si materializzò… voleva che lo vedessi: bello, alto, con i capelli castani e ondulati; mi sorrise ed io vidi nei suoi occhi color nocciola, frammenti di stelle. Non ebbi il coraggio di chiamare l’esorcista, l’avrei fatto morire una seconda volta.
Ormai Louis era considerato da tutti come uno di famiglia. I miei amici, prima di prendere l’ascensore, si voltavano per salutarlo con un “ciao Louis, a presto!”; ne parlavano come se fosse stato un vecchio compagno di scuola.
Col tempo diventò il mio migliore amico, il mio spirito guida, il mio angelo custode, colui che interpretava sempre e nel modo giusto i miei pensieri, anche i più inconfessabili. Louis non poteva consolarmi con le parole, ma quella sua presenza, mi portava a credere che se lui era lì, un giorno, anch’io sarei stata da qualche parte.
Era ingiusto che, quella mattina, dubitassi di lui; non mi avrebbe mai abbandonata, specialmente in un momento così difficile della mia vita.
Un trasloco, comunque, provoca problemi di disadattamento, anche per uno come lui… sarà certamente nascosto da qualche parte… prima o poi si farà vivo (si fa per dire!). Dovevo inoltre considerare che, entrambi, non “conoscevamo” ancora i rumori di quella casa… da quì l’impossibilità di comunicare. Louis era sicuramente il più serio di tutti gli uomini che avevo conosciuto!
Interruppi bruscamente quel mio soliloquio… il pensiero di Louis mi aveva preso la mano.
Solo davanti alla mia macchina per scrivere non metto limiti ai miei pensieri: se penso è perché voglio una risposta e, soltanto rileggendomi più e più volte, riesco a dare ad essi il significato e l’interpretazione che meritano, altrimenti restano solo parole buttate al vento, parole colorate come i miei Amori! Quante favole mi hanno regalato! E’ merito loro se ho amato così tanto la mia vita. Le parole, quando mi cantano nel cuore, riescono a trasformare ogni sogno in meravigliose realtà vissute, come la mia musica.
Scrivere, scrivere, scrivere… solo scrivendo potrò toccare ogni piega della mia Anima e liberarla, finalmente, da tutte quelle ipocrisie che tendono a colpevolizzarla.
Aprii un attimo gli occhi, lo sguardo si posò su un baule ancora chiuso, ma io ci vidi appeso l’abito di seta color turchese, tempestato di stelline d’argento. Riabbassai subito le palpebre; un filo di luce, tagliente come una lama, infiltratosi prepotentemente attraverso una fessura della persiana, mi aveva ferito gli occhi arrossati e stanchi dalla lunga notte insonne; poveri occhi quanto avevano pianto! E per impedire che piangessero ancora ripensai all’abito color turchese tempestato di stelline d’argento e seguitai a raccontarmi un'altra favola della mia vita.

SU UNA NUVOLA DI CORIANDOLI

Arrivata in albergo mi avviai, con passo deciso, verso la portineria. Ero stanca e annoiata, con un solo desiderio: un bel bagno caldo.
Pregustavo già il momento in cui avrei tolto i preziosi sandaletti dai tacchi vertiginosi che, da troppo tempo, imprigionavano i miei piedi; avrei fatto scivolare lungo i fianchi l’abito di seta turchese tempestato di stelline d’argento che, sapientemente, valorizzava la mia immagine, per immergermi nell’agognato bagno caldo e profumato che mi avrebbe disintossicata dalla stanchezza accumulata durante l’interminabile ricevimento di nozze a cui avevo partecipato.
Questo avrei fatto e stavo per fare, se non mi fosse arrivata all’improvviso la voce di un pianista che cantava ”Champagne”.
Mi avviai verso il bar convinta di fare la cosa più giusta del mondo e, mentre cercavo un posticino tranquillo dove sedermi, percepii lungo la schiena due occhi che mi stavano spogliando, due occhi che frugavano irrispettosi nella generosa scollatura che evidenziava, con un po’ di fantasia, l’inizio del mio fondo schiena. Mi sentii nuda.
Mi voltai e lo riconobbi: appollaiato su uno sgabello, davanti al bancone del bar, mi fissava sorseggiando la sua birra con aria annoiata.
Risposi al suo sguardo con un sorriso carico di complicità. Mi divertiva l’idea di apparire una donna dai facili costumi e non mi stupii quando, abbandonato il suo sgabello, lo sconosciuto si diresse verso me col pretesto di ballare ed io, senza proferire parola, scivolai fra le sue braccia. Finito il ballo, nel riaccompagnarmi al tavolo, mi disse che si chiamava Edoardo e che si trovava lì per uno spiacevole contrattempo: l’intervista col sindaco di Palermo si era protratta più del previsto, impedendogli di prendere l’ultimo volo per Roma.
Chiesi:
-Immagino tu faccia il giornalista?-
Mi rispose che era uno che scriveva quello che gli altri gli ordinavano di scrivere, ma che la sua grande aspirazione era suonare il trombone nei vicoli del mondo, libero e senza padroni.
Pensai: "Ho trovato il vagabondo con cui misurarmi"
Così quando mi propose di salire da lui per bere una coppa di champagne accettai senza la minima esitazione… quel gioco cominciava a piacermi.

Parlammo per una notte intera e, nel salutarlo, gli dissi:
-Abbiamo parlato tanto che ci siamo dimenticati di far l’amore, ma fino a quando il nostro dialogo ci appaga è giusto parlare. Domani o un altro giorno… se ci rivedremo… saremo un’altra cosa, perché mutiamo attimo dopo attimo, ma ci riconosceremo finché tra noi ci sarà questa voglia di stare insieme: unica realtà di una favola più grande di noi.
-E se fosse una menzogna più grande di noi?-
-Noi non possiamo essere una menzogna. Giochiamo ad essere “tutto”, meno che una menzogna. Il negativo di “tutto” non esiste in Paradiso ed io, questa notte, voglio il Paradiso-
-Che cos’è per te il Paradiso?-
-E’ quel luogo dove l’uomo vive finalmente il suo “ruolo giusto”, quello che gli aderisce addosso. Il Paradiso è il luogo dove non esistono differenze, perché non si distinguono-
-Come te lo guadagni il Paradiso?-
Rimasi un attimo confusa, nessuno mi aveva mai fatto una simile domanda, né me l’ero mai posta. Dopo un attimo di esitazione risposi:
-Chi nasce con un alto potenziale d’Amore, vivrà tanti amori, con ruoli diversi fra loro, ma tutti ugualmente importanti. Nessun essere umano ha la capacità di assorbire ed esaurire il proprio amore in un’unica proiezione. Quello che ti resta dentro non puoi buttarlo via, ma lo conservi per riproiettarlo in un altro Amore e un altro ancora, fino all’esaurimento del medesimo. Dopo, soltanto dopo, svuotato il tuo bagaglio d’amore terreno potrai vivere “l’Amore che consola”… l’Amore che si trova nell’anticamera del Paradiso… poi… finalmente conoscerai l’Amore divino. E’ così che ci si guadagna il Paradiso-
-Quanti amori hai già vissuto?-
-Non è colpa mia se sono nata con un potenziale d’Amore altissimo. Questa notte, però, vorrei che tu me l’assorbissi tutto: ho voglia di Paradiso-
-Non sono più sicuro di niente, le mie certezze cominciano a vacillare. I tuoi concetti mi affascinano e mi sconvolgono, ma sono più che sicuro di volerti già bene. Ora che devi andare io ti desidero. Non so come definirti, se angelica o diabolica, sei comunque una donna affascinante e vorrei seguitare a vivere nel tuo mondo e inventarmi qualcosa per restare con te, per abbracciarti talmente forte da penetrarti fino a farti urlare e poi affondare i miei occhi nella tua anima e convincerti che sono una realtà. Vorrei che tu mi amassi con tutte le mie miserie: questo, per me, è il Paradiso-

*** *** ***

Quando rientrai nella mia stanza era ormai l’alba… quell’alba palermitana mi sorprese sbronza e felice.
Crollai sul letto senza neanche svestirmi, convinta di affondare su una nuvola piena di coriandoli.
Lo squillo del telefono mi riportò sul pianeta terra. Era il “vagabondo” che mi stava telefonando dall’aeroporto.
-Ho lasciato in portineria una “cosa” per te. Ho incaricato il portiere di consegnartela al tuo risveglio. Sto partendo per Roma, ma prima volevo dirti “grazie” per la meravigliosa notte, stanno chiamando il mio volo… arrivederci a Roma-
Ordinai immediatamente il caffè.
Sul vassoio, accanto alla tazzina, c’era un libro dalla copertina verde e nera, lo afferrai, ne lessi il titolo stampato a caratteri d’oro: “La montagna incantata” di Thomas Mann. Nell’aprirlo trovai un biglietto:
“Mia cara amica,
mi hai fatto amare questa Palermo che odiavo. Ci rivedremo a Roma per continuare il nostro dialogo. Io non so parlare come un poeta; l’unica rima che in questo momento mi sgorga dal cuore è: Gabriella, garofano e cannella, Thomas Mann, invece, con questa sua stupenda favola, saprà dirti quelle cose che io vorrei poterti dire.
Ti bacio, la nostra prossima notte ci vedrà felici sotto un cielo romano,
Edoardo”
Lessi il biglietto una decina di volte… telefonai in portineria e prenotai il primo volo per Roma.

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