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XXII

L’azzurro della piscina riverberava luce tutt’intorno. I monti circostanti apparivano verde luminoso per la tersezza del cielo. Tutto sapeva di vacanza, di calore, di gioia. I ragazzi sguazzavano in acqua, gioiosi; rifrangevano la cristallina superficie rincorrendo una palla con chiassosa esuberanza. Denise e la sorella, sdraiate ai bordi della vasca, si godevano il calore del sole. Dischiudendo un occhio Geraldine si accorse di Bibien, in acqua a capo scoperto.
“Quel disperato, non ha la cuffia. Per favore portagliela.”
disse rivolgendosi al marito seduto accanto a lei. L’uomo si diresse in prossimità del nipote sventolando il cencino colorato e chiamandolo a voce sostenuta:
“Bibien, Bibien la cuffia.”
Gli schiamazzi in acqua coprivano ogni suono, ma un bagnante, vedendo l’uomo sbracciarsi si accostò a Bibien e gli disse:
“Ei… ti chiama tuo padre!”
Il ragazzo sgranò gli occhi e, rivolto lo sguardo allo zio, rispose:
“Non è mio padre, mio padre è morto.”
Nuotò fino al bordo della piscina e si infilò la cuffia.
Il marito di Geraldine si sedette turbato accanto alla moglie, non avrebbe voluto riferire quella frase, ma lo fece. La giornata luminosa perse molto del suo splendore.
Come una cataratta aperta trasforma con l’onda di piena un rigagnolo asciutto in un ruscello assassino, così il rancore sopito di Denise divenne incontenibile. Lo spregevole allontanamento di Bruno non si giustificava in alcun modo. Era stato per nove anni appiccicato al figlio ed ora perché non sentiva la necessità di avere notizie? Un figlio non si può dimenticare così! Le sembrava di vederli ancora lì, insieme. Quanti momenti felici avevano trascorso uniti nel gioco e nelle attività quotidiane. Come avrebbe voluto ancora, lei, sentire quel vocione esortare: Bibien devi fare questo, Bibien vieni qua, Bibien vai là. Povero Bibien, dopo tutti i suoi guai, gli fosse almeno toccato un padre affettuoso! Eppure la realtà era quella. Nel rimestio di pensieri la donna non poteva credere a tanta insensibilità Tutte le belle cose che negli anni padre e figlio avevano fatto insieme, si mostravano come gioielli, da una parte custoditi gelosamente e dall’altra buttati in mare. Ancora una volta fu inasprita dalla ribellione. Doveva fare qualcosa! Non ci si può sempre lamentare perché ti piove addosso senza aprire l’ombrello! Anche vendicarsi a volte paga, ma come? E se mi rivolgessi al giudice dei minori per costringere Bruno a prendersi cura di Bibien? Non si può svanire nel nulla! Dimenticare un figlio! Ci sarà pure una legge che tuteli dalla negligenza dei genitori!”
Il lunedì successivo Denise ritornò dall’ufficio con l’appuntamento già fissato per il giorno dopo con il giudice dei minori. All’ora stabilita, un distinto signore con gli occhiali dalla montatura di tartaruga, la invitò ad entrare in uno studiolo. Si sedettero alla scrivania l’ uno di fronte all’altro.
“Ecco” introdusse la donna con fare asciutto. “Mio marito ed io siamo separati da più di tre anni….” e giù a raccontare. “Da molto tempo non ho notizie e mio figlio sta soffrendo. Non c’è una legge che imponga ai genitori di occuparsi dei propri figli?”
Il dottor De Luca, dopo aver ascoltato in silenzio parlò con voce cheta:
“L’affetto o c’è o non c’è. Se l’affetto non c’è a che gioverebbe un’imposizione?”
Lei lo guardò addolorata dalla schiacciante verità. Mai così poche parole erano state tanto eloquenti. Se l’affetto non c’è. Contenne ogni ulteriore considerazione. Si accomiatò sussurrando:
“Ho capito, ho capito benissimo.”
Il magistrato le aveva rischiarato la mente. Tornando a casa si ripeteva - Se l’affetto non c’è – L’affermazione pesava più di un macigno. Impossibile che l’affetto non ci fosse, ne era sicura. Probabilmente Bruno si trovava in difficoltà e non era in grado di mettersi in contatto con loro, tuttavia anche questa ipotesi non era tranquillizzante. Con le spalle ricurve, invecchiata di cent’anni, non si sentiva più disposta a combattere. Solo un pensiero le dava vigore, lo psicologo pelato, il dottor Menni, sempre pronto ad ascoltarla e a farle coraggio.

 

XXIII

Non era una massaia attenta, ma quando le sembrava di aver speso troppo, dava una controllatina allo scontrino. “Ecco, manca il collutorio, nel sacchetto non c’è, ma sono sicura di averlo tolto dallo scaffale e l’ho anche pagato” pensò mentre sistemava ogni cosa negli armadietti. Suo figlio glielo stava ricordando da due o tre giorni, ma non aveva proprio voglia di ritornare al supermercato, di lì a poco sarebbe arrivata Ginetta e c’era ancora la cena da preparare. L’invito, a differenza delle altre volte, era mirato: Denise avrebbe esposto all’amica il progetto di coinvolgere il professor Paolo Carlini nell’educazione di Bibien.
A tavola le due donne chiacchierarono toccando argomenti vari. Denise parlò dei disagi di Bibien per l’assenza del padre e disse:
“A scuola sta facendo poco. Potresti chiedere a tuo nipote Paolo di programmare qualche ripetizione?”
“Certamente..” esclamò Ginetta.
“Sarebbe bello se, fra una lezione e l’altra, stimolasse le confidenze del ragazzo ascoltando i suoi problemi per aiutarlo anche psicologicamente.”
“In che senso?”
“Paolo è un uomo giovane, colto e preparato. E’ possibile che riesca ad estrapolare tutto ciò che serve per adandogli dei buoni consigli in questi difficili momenti.”
Ginetta aveva sempre avuto parole di vanto per questo nipote. Rispose:
“Gliene posso parlare, ma tu telefona e spiegagli quello che ora hai detto a me, è meglio che vi accordiate direttamente.”
Abbandonato l’argomento, il dialogo proseguì su altri percorsi. Per ultimo Denise, decisa a battere il ferro ancora caldo sulla questione del professor Carlini, ribadì l’urgenza della mossa, perché anche lo psicologo aveva sottolineato l’importanza di un referente maschile per Bibien in mancanza del padre. Avrebbe voluto confidarle anche qualcosa di quel bel tipo, con lo sguardo così profondo da innamorarsi a prima vista, ma se ne guardò bene. Infine, preparò un sacchetto con del buon vino e lo mise nelle mani dell’ospite.
“Ti prego parla con Paolo!”
Fu l’ultima raccomandazione di Denise prima che Ginetta superasse la porta dell’ascensore.

 

XXIV

Il professore di matematica non riusciva a zittire i ragazzi. Sentiva mormorii continui, nonostante i frequenti ammonimenti e inviti all’attenzione. Il banco dell’alunno Giglioli era vuoto. Una scolara si alzò in piedi:
“Prof, temiamo sia successo qualcosa a Giglioli.”
“Che significa?” rispose con curiosità.
“Forse Giglioli si è ucciso”.
Molti ragazzi aggiunsero qualcosa in proposito.
“Come, come, non capisco, parlate uno alla volte” interloquì l’insegnante a mezza voce.
Si alzò Francesca Zanini, la compagna alla quale Bibien aveva rivelato tutta la tristezza che aveva nel cuore. La ragazza piangeva.
“Professore, Giglioli ha annotato nel mio diario: addio Francesca, domani sarà il giorno giusto”.
“Va be’, ma non ti ha scritto che si sarebbe ucciso”.
Francesca spiegò che Bibien si era confidato con lei esprimendole quest’intenzione.
Uno per volta parlarono anche altri compagni.
“L’ha detto segretamente a me.”
“Anche a me..”
“A me pure.”
Il professor Ernesti, che conosceva i problemi di Bibien, prima divenne tutto rosso, poi impallidì come un cadavere. Il mese prima un adolescente si era tolto la vita e la stampa n’aveva dato ampio rilievo.
“Scendiamo dal preside, vieni con me, prendi il tuo diario”
Disse ansiosamente rivolgendosi alla Zanini.
Il preside si mise subito in allarme. Parlò con la segretaria riferendo della novità e la pregò di chiamare casa Giglioli. La donna compose il numero con ansia. Dall’altra parte si udì una voce di ragazzo addormentato.
“Pronto”
“Pronto…. sei Bibien?”
“Si”
“Qui è la media Orsini, non ti abbiamo visto a scuola.”
“Ho mal di gola e un po’ di febbre.”
“Va bene, guarisci presto, ciao.”
La segretaria posò il ricevitore e tutti tirarono un respiro di sollievo. Francesca tornò in aula a rassicurare i compagni. Il preside si rivolse di nuovo all’impiegata:
“Crede opportuno informare i genitori?”
“ Penso sia giusto.”
“C’è solo la madre. Il padre non deve essere più neppure in Italia” precisò il professore di matematica.
“Per favore, parli lei con la madre, come mamma saprà impostare meglio il discorso”
disse il preside alla segretaria. La donna annuì con convinzione, poi ripensandoci si rese conto che il preside, dall’alto del suo ruolo, le aveva scaricato una responsabilità.
Il lunedì successivo Bibien avvisò la madre che a scuola, in segreteria, c’era una circolare da firmare.
“Perché non l’hai portata a casa come sempre?”
“Perché sabato ero assente.”
Quello stesso pomeriggio Denise si presentò alla segreteria della scuola.
“Sono Giglioli, dovrei firmare qualcosa.”
“Si, signora, si accomodi”.
Mentre la donna prendeva posto su di una sedia dell’ufficio, l’impiegata borbottò:
“Questi ragazzi sono proprio insopportabili. Io ne ho uno di vent’anni e solo ora si è un po’ calmato, ma prima non riuscivo più a reggerlo. Dopo i 18 anni si calmano. Anzi quando hanno la ragazza.”
Denise approvò:
“E’ vero anch’io ho molti problemi con mio figlio.”
“A proposito…..signora…. non è importante, ma glielo dico lo stesso, sa, sono scenate che gli adolescenti amano fare, non è preoccupante, non lo prenda sul serio.”
Denise ascoltava tranquilla.
L’altra proseguì raccontando dell’alunna scesa in lacrime dal preside perché Bibien aveva preannunciato il suicidio per un giorno della settimana precedente e proprio in quel giorno non si era presentato a scuola. Poi lei aveva telefonato a casa ed aveva risposto il ragazzo, quindi non avrebbero dato molto peso alla cosa se non fosse perché in televisione continuano a parlare di quell’adolescente si è ammazzato, ma non era il caso di preoccuparsi.
La mamma di Bibien ascoltava. Non le sembrava che si stesse parlando di suo figlio. Ascoltava con la mente svuotata. Ancora una volta veniva a conoscenza di una situazione della quale nemmeno aveva avuto sentore.
La segretaria la pregò, secondo il desiderio del preside, di non riferire nulla al ragazzo per non dare rilievo al fatto.
“Mi sembra di aver capito che Bibien sia innamorato di una compagna. Allora questo spiegherebbe tutto.”

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