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Sebbene chi lo circondava fosse parte della sua vita e di sé, lui rimpianse la triste malinconia della sua casa.
Gli mancava il suo profumo, la fotografia di Clara, che non aveva portato con sé, e soprattutto non ritrovava fra quelle mura, anche se popolate da persone che l’amavano e che lui amava, nessuno dei suoi ricordi.
Si sentì ingrato a provare queste sensazioni; ma tant’è che non poteva fare nulla per mutare questo suo stato d’animo che, egli stesso, trovava assolutamente inappropriato.
Sì -disse a sé stesso- la mia solitudine fa ormai parte di me!
Di un’altra cosa si rese conto, e fu l’intima convinzione, che avrebbe avvertito ovunque e con chiunque quel vuoto immenso che sentiva dentro; perché la sua sofferenza era figlia della sua anima e non poteva essere curata da alcuna compagnia o momentanea gioia. La sua tristezza era tutta la sua vita!
Affondava le sue radici così profondamente nel cuore, che solo l’oblio totale avrebbe potuto estirparla. Meglio dunque accettare di viverla nei luoghi da cui era nata, poiché in essi trovava almeno momenti di grande sollievo, anche se trasudanti immensa malinconia.
Quando ritornò a casa lo fece col cuore lieto di chi va incontro al primo amore. Quando si ritrovò di nuovo solo si sentì ancora ferito, dalla sua solitudine e tradito dalla vita, come un amante può esserlo dalla sua donna.
Poi con sollievo curò le sue ferite cercando ancora come sempre nella memoria, i momenti più belli che aveva vissuto lì.
Erano stati davvero tanti!- si ritrovò a pensare. Anche durante quei giorni in cui il suo cuore fu provato dalle mille false lusinghe della vita -ricordò- beh! Anche allora aveva conosciuto il conforto di una mano protesa verso di lui.
La stessa che, per lunghissimi anni, aveva stretto tra le sue ogni sera prima di addormentarsi.
La mano di colei che fu, si la madre dei suoi figli ma fu, soprattutto la sua donna.
Ricordò con nostalgia e rimpianto le loro notti!
Clara era stata per lui la più appassionata delle amanti ed egli aveva adorato ogni cosa di lei, non avrebbe mai più dimenticato, anche se questo avrebbe significato soffrire ancora.
Era scesa la sera lui era molto stanco; indossò il suo pigiama, salutò Clara col solito bacio di sempre e s’addormentò.
Anche quel giorno, la riscossione della pensione, rappresentò un momento d’incontro con alcuni suoi amici che, come lui, assolvevano con piacere quel compito.
Molti di loro erano accompagnati dalle mogli, altri se ne ritornavano in una casa dove l’attendeva soltanto il rumore dei propri passi, resi incerti dall’età.
Con questi ultimi, a volte Sergio s’attardava per una informale chiacchierata e sia lui che loro, forse per una sorta di pudore teso a salvaguardare la propria dignità, non facevano mai menzione alla triste condizione di uomini soli.
I loro riferimenti erano imperniati su discussioni bonarie che potevano riguardare il calcio o le partite a bocce, ma non travalicavano mai questo limite, inoltrandosi nella sfera personale.
L’amicizia così come qualsiasi altro affetto, non è cosa da poco -pensava sempre Sergio- l’amicizia occasionale fatta di luoghi comuni, nulla ha in comune con quell’altro tipo di amicizia, quella vera che ti permette di mettere a nudo l’animo nella consapevolezza di essere compreso e consigliato.
Quest’ultimo era stato il sentimento forte che l’aveva unito a Ernesto: dai banchi di scuola fino al giorno in cui lui si era ammalato e non sapeva neanche più, chi fosse Sergio.
Quando gli capitava di pensare a lui, cosa che accadeva con molta frequenza, l’uomo sentiva come un nodo alla gola e non poteva capacitarsi quanto la vita, apparsagli tanto piena e promettente, con il passare degli anni avesse potuto svuotarsi così, fino ad essere quasi priva di ogni significato.
Di tanto in tanto, quando il suo umore gli permetteva di rivedere senza troppo dolore quel relitto umano che ormai era divenuto il suo amico di un tempo, andava da lui durante l’orario di visita alla casa di riposo dove, da alcuni anni, era alloggiato e gli sedeva accanto.
Ernesto posava lo sguardo su di lui con la stessa anonima indifferenza con cui guardava qualsiasi altra cosa intorno a sé; non sapeva più chi fosse Sergio, così come non si rendeva conto di dove fosse egli stesso, o che cosa stesse bevendo o mangiando. Quel suo disgraziato amico -pensava Sergio col pianto nel cuore- non sapeva neanche più il suo nome!
Tante volte, mentre era lì con lui, aveva cercato di superare quella invisibile ma compatta barriera che si frapponeva tra loro.
Inutilmente aveva tentato di accendere una, seppur flebile, fiammella sui ricordi: non aveva mai ottenuto nessun riscontro!
Pur tuttavia non riusciva ad accettare di vederlo ridotto così. Non poteva sopportare il pensiero che tutto, ciò che insieme avevano diviso, fosse andato perduto. Più d’una volta si ritrovò a piangere singultando senza vergogna, mentre Ernesto continuava a guardarlo con l’aria indifferente e inespressiva di sempre.
All’inizio, quando quella sua terribile malattia si era manifestata, l’uomo poteva contare ancora sull’assiduo aiuto di sua moglie, che sebbene avanti con l’età era in grado di assisterlo.
Solamente in quel periodo Elena, aveva confessato a Sergio il grande rammarico di non aver avuto figli.
Gli confidò di averli sempre desiderati ma ora ancor più ne sentiva la mancanza. “Poter contare in quel momento così duro, sul sostegno e l’aiuto di chi soffre il tuo stesso dolore, sarebbe stato sicuramente un motivo per sentirmi meno sola” –gli confessò- in più d’una occasione. Egli sempre, durante quei sfoghi, aveva tentato di infondere coraggio in quella donna provata così duramente dal destino.
Poi anche Elena si era ammalata: ora si trovava in una casa di riposo, lontana dal marito e da tutto ciò che era stata la sua vita, fino ad allora.
Quando questa ridda di pensieri venivano ad affollare la sua mente allora si rendeva conto che, pur nella sua solitudine, poteva dire d’essere ancora un uomo fortunato.
Analizzava la sua vita e per quanto la trovasse scarna di emozioni gli sembrava addirittura rosea, se paragonata a quelli di altri vecchi.
Rivedeva davanti agli occhi il volto sofferente e scavato di Elena; quel suo sguardo disperato e allora ringraziava Dio per non aver permesso che la sua Clara vivesse quel tormento interiore che, invece, quella donna era costretta a sopportare.
Sua moglie aveva lasciato questo mondo accompagnata dall’affetto sincero dei suoi figli, era morta nel suo letto, nella casa che aveva conosciuto ogni emozione della sua vita, aveva avuto accanto sempre lui fino all’ultimo respiro!
Realizzare che la creatura che egli aveva tanto amato, non avesse conosciuto il disincantato turpe dolore di sentirsi sola, lo aiutava a vivere e a sopportare il suo disagio con animo più pacato.
Mille volte si era trovato a ripercorrere il sentiero di questa analisi minuziosa e coinvolgente ed ogni volta si era illuso di uscirne più sereno. In ognuna di queste occasioni, tuttavia, l’unica cosa che fra tutte riusciva a dargli la forza di andare avanti, era la consapevolezza di poter contare sull’affetto dei suoi figli.
Quel pomeriggio faceva molto caldo; la primavera era esplosa con i suoi toni più vivi.
Sergio si affacciò sul balcone ed il suo sguardo cadde su quei vasi che vi erano ancora collocati.
Un sorriso amaro gli attraversò lo sguardo; quel posto in primavera era un oasi di verde e colori -pensò- ricordando i pomeriggi in cui lui e sua moglie, attendevano l’ora di cena seduti lì a parlare delle loro cose.
La sua Clara amava molto i fiori e se ne occupava con tanta dedizione, per cui quando arrivava la bella stagione le sue piante erano rigogliose e verdi. Le rose spandevano profumo nell’aria e lei, prima che fossero sfiorite, le recideva e ne ornava la sala da pranzo.
Provò una grande malinconia a vedere quella terra dura e arsa dove, come a prendersi la sua rivincita, qualche mazzetto d’erba spuntava qua e là.
Sergio da qualche giorno rimandava di andare al cimitero: non perché non ne avesse desiderio, ma soltanto perché non si fidava delle sue forze che, in alcuni momenti, sentiva meno presenti.
“Verrò da te domani cara Clara!” -disse a voce alta- in risposta ai suoi pensieri e aggiunse, ”Ti porterò delle rose bianche e degli anemoni, perché lo so che ti piacciono tanto!

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