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GABRIELLA QUATTRINI

PALCOSCENICO DI STELLE:
una vita inventata... interamente vissuta

Il mio epitaffio

Ho incontrato la mia Vita
mi sono così divertita
che sono morta dalle risate.

LA FINESTRA

Quella mattina fui svegliata da un rumore familiare, di sapore antico; andai alla finestra e, attraverso una fessura della persiana chiusa, vidi l’arrotino.
Alla vista di quell’omino che armeggiava con l’antica pietra persi il conto degli anni e non mi sembrò così lontano il tempo in cui portavo ad affilare vecchi coltelli da cucina dagli enormi manici storti e bruciacchiati.
Al grido dell’arrotino, mamma mi faceva indossare un’orribile vestaglietta lunga fino ai piedi di fustagnina avana dai grandi fiori azzurri; poi mi consegnava il coltello da affilare raccomandandomi, ripetutamente, di non toccarne la lama ed io, con il manico ben stretto nel pugno e con l’aiuto della ringhiera, scendevo con attenzione i pochi gradini che mi separavano dal portoncino; mi mettevo diligentemente in fila e, nell’attesa, m’incantavo ad osservare le miriadi di scintille che la pietra sprigionava come fossero frammenti di stelle.
Era primavera ed io, affacciata a quella finestra, presi coscienza che non avrei mai più risentito l’odore del gelsomino che, puntualmente e prepotentemente in quella stagione, invadeva la mia casa, ubriacandola d’amore e di vita.
Non avrei più gustato la prima tazzina di caffè sotto l’amato glicine, testimone galeotto (con la complicità della luna) di momenti magici e irripetibili. Mai più avrei irrorato le superbe rose azzurre, regine e orgoglio del mio terrazzo, né più mi sarei sdraiata sulla brandina dalle farfalle viola dove rimanevo per ore e ore sotto un cocente sole per “sfoggiare”, fuori stagione, una splendida tintarella integrale da Costa Azzurra.
Correva voce che, nei mesi estivi, alcuni uomini forniti di binocolo avessero preso l’abitudine di andare a stendere il bucato sui terrazzi condominiali circostanti al mio.
Sorrisi ricordando la frase che spesso ripeteva mia madre:
“Sei la pietra dello scandalo di tutto il quartiere... non ti curi "dell’occhio della gente”!"
(Il mio attico era appena a duecento metri dalla sua casa: ci separava solo una lunga gradinata)
Ma io, incurante, “dell’occhio della gente” seguitai a prendere la tintarella integrale che mi permetteva d’indossare, fuori stagione, “scandalose” minigonne e sempre più “vertiginose” scollature, come se la “sudata” abbronzatura, reclamasse il diritto di mostrarsi in tutto il suo splendore.
Mentre il pensiero si crogiolava al sole dei ricordi, il prolungato abbraccio col freddo davanzale, impietosamente, mi riconsegnò fra le braccia del presente e tornai ad osservare l’assonnato giardino che, in un batter di ciglia, cominciò a parlare.
I ricordi non avevano tempo… ed erano tutto il mio tempo.
Quella mattina vi lessi pagine mai dimenticate.
Ma il racconto supera ogni storia se la Fantasia possiede grandi ali.
E alla Fantasia affiderò ancora pagine bianche mai riempite. Non ci sarà alcun punto che metterà la parola fine, ma ancora pagine bianche a cui affidare i miei segreti. Essi diventeranno la mia voce e sveleranno il segreto della mia “follia” a cui… non ho mai creduto.
Molte cose gridano di essere ricordate ed io non voglio dimenticarle… scriverle sarà ritrovarle o smarrirle… ed io voglio l’uno e l’altro, senza rinnegare niente.
Vorrei trasformare la mia vita in una bella canzone dove la poesia si sposa con la musica, dove ogni parola si posa solo sull’accento giusto.
Quella mattina la solitudine trovò il suo tappeto musicale alla vista dell’arrotino.
Niente era cambiato, solo la vecchia staccionata, che un tempo recintava il giardino, era stata sostituita da un filare di oleandri, ma io, quella mattina, la rividi con su appollaiato mio padre e riudii le risate di quei tanti amici che coronavano sempre ogni sua barzelletta.
Sulla panchina, invece, intenta a ricamare grembiulini all’ombra dell’annoso pino, c’era mia madre e accanto a lei il bel fioccone azzurro di Marisa che mamma le annodava a forma di farfalla stretto alla ciocca destra fitta di riccioloni biondi a molla.
Nel vederli così presenti, ebbi la netta sensazione che tutti e tre stessero aspettando, impazienti, che io riaprissi loro la persiana per tornare a vivere, ed io l’aprii: ero tornata a casa.
A quel rumore i colombi si levarono in volo bucando l’aria tersa del mattino, in cielo esplose un suono di campane e in quel respiro, accanto alla fontanella, ci rividi Bibì che, con aria imbronciata, aspettava che il sole le asciugasse il grembiulino.
E quando i suoi occhi, carichi di pagliuzze d’oro, mi guardarono esprimendo sorpresa nel vedermi affacciata là dove nostra madre ci chiamava interrompendo un gioco, gridai:
-Bibì, non andartene… ho bisogno di parlare con te… raccontami della tua musica, nostra madre è morta: mi sento sola!-

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