Legislatura 14º - Disegno di legge N. 2778
SENATO DELLA REPUBBLICA
———– XIV LEGISLATURA ———–
N. 2778

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa della senatrice DATO, LEVI MONTALCINI, AMATO, TREU, BAIO DOSSI, BARATELLA, BASSO, BATTISTI, BISCARDINI, CASTAGNETTI, CASTELLANI, COVIELLO, D’AMBROSIO, DE PAOLI, DE PETRIS, DETTORI, DI GIROLAMO, FALOMI, FILIPPELLI, FORLANI, GIARETTA, LABELLARTE, LIGUORI, LONGHI, MANZELLA, MARINI, MICHELINI, MODICA, MONCADA LO GIUDICE di MONFORTE, PEDRINI, PIATTI, SALVI, SCALERA, SOLIANI, STANISCI, THALER AUSSERHOFER, VERALDI, VICINI, ZANDA e BASILE

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 23 FEBBRAIO 2004

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Interventi urgenti per il raggiungimento entro il 2010 degli obiettivi della Conferenza di Lisbona in materia di partecipazione al lavoro delle donne, nonché nuove norme per l’attuazione dell’articolo 51 della Costituzione
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Onorevoli Senatori. – Il 23 e 24 marzo del 2000, nell’ambito del Consiglio europeo di Lisbona, si è tenuta una sessione straordinaria orientata a concordare un nuovo obiettivo strategico per l’Unione: diventare in un decennio «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo», in grado di realizzare una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
La cosiddetta «Conferenza di Lisbona» ha dunque posto le basi per la realizzazione di un passaggio cruciale nella crescita e maturazione delle istituzioni comunitarie: l’individuazione di obiettivi sociali e di crescita condivisi, sui quali edificare un rinnovato e ampliato concetto di cittadinanza europea.
Tra le modalità d’azione concordate in quella sede era indicata anche la modernizzazione del modello sociale europeo, da realizzarsi – nell’ambito di un nuovo metodo di coordinamento aperto a tutti i livelli – attraverso l’investimento nelle persone e la lotta all’esclusione sociale.
In questo contesto, una parte integrante del programma strategico di Lisbona era dedicata ad un tema che vede il nostro paese in una posizione di eccezionale ritardo rispetto ai partner comunitari: la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
A questo proposito, il punto 30 del documento conclusivo approvato a Lisbona recita testualmente: «Il Consiglio europeo ritiene che l’obiettivo generale di queste misure debba consistere, in base alle statistiche disponibili, nell’accrescere il tasso di occupazione dall’attuale media del 61 per cento a una percentuale che si avvicini il più possibile al 70 per cento entro il 2010 e nell’aumentare il numero delle donne occupate dall’attuale media del 51 per cento a una media superiore al 60 per cento entro il 2010. Tenendo presenti le diverse situazioni iniziali, gli Stati membri dovrebbero prevedere di fissare obiettivi nazionali per un aumento del tasso di occupazione. Attraverso l’ampliamento della forza lavoro, sarà così rafforzata la sostenibilità dei sistemi di protezione sociale».
La Conferenza ha dunque fissato un criterio fondamentale per l’armonizzazione dei mercati del lavoro europei, che vede l’Italia in una posizione di forte svantaggio soprattutto sul fronte della partecipazione femminile, dovendo recuperare su questo terreno un gap di eccezionale rilevanza.
Il dato più significativo riguarda i tassi di occupazione femminile in base al livello di istruzione.
Tre aspetti di forte differenziazione rispetto alle medie degli altri paesi europei emergono dall’analisi di tale dato: (1) solo il 27 per cento delle donne italiane, in età compresa tra i 25 e i 64 anni e in possesso di licenzia media inferiore è attualmente occupato; (2) il tasso di occupazione femminile aumenta all’aumentare del livello di istruzione, ma tra i primi due livelli di istruzione l’Italia è il paese che mostra il divario occupazionale più ampio, con un gap di trenta punti percentuali; (3) il tasso di occupazione delle donne laureate è abbastanza omogeneo a quello degli altri paesi comunitari, attestandosi sopra il 70 per cento, ma i tassi di occupazione femminile per tutti i livelli di istruzione risultano invece largamente inferiori all’attuale media comunitaria e – a maggior ragione – molto distanti dall’obiettivo strategico di Lisbona. Quest’ultimo risultato evidenzia, in particolare, la modesta percentuale di lavoratrici tra le donne in possesso di un titolo di istruzione inferiore, segnalando anche l’esigenza di specifiche e socialmente mirate politiche culturali.
Con l’allargamento a 25 Paesi dell’Unione europea, la distanza delle lavoratrici italiane dall’Europa è destinata ad allargarsi ancora.
A confermarlo è il rapporto annuale ISTAT per l’anno 2003. A fronte di un tasso di occupazione femminile che nei nuovi paesi membri raggiunge il 50,1 per cento, l’Italia si segnala per una partecipazione femminile al lavoro che si ferma ad appena il 32,8 per cento su scala nazionale. Nelle regioni meridionali e nelle aree svantaggiate dell’Italia questa percentuale si abbassa ancora, fino a livelli del tutto inammissibili per una società ad economia avanzata: meno di tre donne su dieci (il 26,1 per cento) è risultata occupata nel 2002. Ciò nondimeno, il tasso di scolarità femminile è in linea con la media europea.
Le donne italiane, dunque, studiano come e più degli uomini, eppure non riescono a partecipare alla vita economica e produttiva del paese in misura corrispondente alle loro capacità e potenzialità.
La spiegazione di questa «anomalia italiana» si rintraccia negli stessi dati ISTAT, che evidenziano come la situazione familiare condizioni il tasso di partecipazione femminile al lavoro in misura assolutamente determinante: nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni le donne con figli che lavorano sono poco più del 50 per cento, contro l’87 per cento delle donne senza figli.
Questo dato non sorprende se si considera che la principale istituzione di sostegno familiare è rappresentata dai nonni: sei bambini su dieci con meno di due anni – secondo l’ISTAT – sono affidati ai nonni quando la madre lavora e soltanto due su dieci frequentano un asilo nido pubblico o privato.
Il lavoro femminile rappresenta dunque un enorme giacimento di risorse economiche, culturali e civili che l’Italia non riesce ad utilizzare, ponendosi al crocevia delle sfide poste per un verso dall’integrazione europea e per altro verso dalle esigenze di equità e compatibilità del nostro sistema di protezione sociale.
Non si può non rilevare, infatti, come la questione dell’occupazione femminile si ponga oggi per il nostro paese con un accento del tutto particolare, in quanto direttamente connessa al problema della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale.
Nel momento in cui il Governo si appresta a dare attuazione ad una supposta riforma del sistema previdenziale, che per molti aspetti cristallizza le attuali iniquità senza peraltro apparire efficace al contenimento finanziario, manca del tutto una seria riflessione sull’unico che strumento che potrebbe garantire un riequilibrio della spesa pensionistica senza compressioni per i diritti acquisiti dei lavoratori, ma semmai con l’espansione e la piena affermazione del diritto soggettivo al lavoro: l’incremento della partecipazione lavorativa delle donne, almeno fino ai livelli medi dell’Unione europea.
In questo senso, l’obiettivo fissato dalla Conferenza di Lisbona può e deve costituire uno stimolo e uno sprone per il nostro paese, suggerendo al legislatore un «pacchetto» di interventi urgenti per un rapido ed efficace recupero del deficit di partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Questo intervento urgente, d’altronde, non può prescindere da un altro aspetto cruciale per la vita civile e democratica di una società matura: la partecipazione delle donne agli organismi di rappresentanza democratica e alle cariche elettive. Anche in questo caso – e con proporzioni persino più allarmanti che per la partecipazione delle donne al lavoro – si deve rilevare un primato negativo dell’Italia, che impone l’urgente adozione di efficaci e moderne misure di sostegno, anche nella forma di un rinnovato modello di azioni positive.
Il presente disegno di legge intende incidere su ciascuno di questi fronti di «deficit partecipativo» delle donne, secondo le finalità di cui all’articolo 1, attraverso un’azione a più livelli che si articola nelle seguenti tipologie di intervento:
a) il sostegno alla partecipazione al lavoro delle donne (Capo I);
b) la promozione dell’imprenditoria e dell’imprenditorialità femminili (Capo II);
c) il sostegno al reddito delle madri lavoratrici, nonché interventi in materia di politiche per la famiglia (Capo III);
d) l’attuazione dell’articolo 51 della Costituzione, in materia di pari opportunità nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (Capo IV).
Il Capo I, dedicato alle norme a sostegno della partecipazione al lavoro delle donne, reca in apertura una misura destinata ad incidere sul primo ordine di difficoltà incontrato dalle donne nell’accesso al mercato del lavoro: l’elemento anagrafico. A parità di formazione e qualificazione, le giovani donne scontano una vistosa penalizzazione nell’accesso al lavoro a tempo indeterminato, cui corrisponde una prevalente utilizzazione delle stesse nell’ambito di forme parasubordinate di prestazione.
A tal fine, l’articolo 2 introduce, per il periodo 2005-2010, uno specifico incentivo fiscale all’assunzione di lavoratrici giovani, nella forma di un credito d’imposta pari a 500 euro per ciascuna nuova assunzione che incrementi il numero dei dipendenti a tempo indeterminato.
L’incentivo è riconosciuto ai datori di lavoro (con l’esclusione delle pubbliche amministrazioni) che assumono lavoratrici fino a 32 anni di età, che non abbiano svolto attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato da almeno 24 mesi e che siano residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno del 10 per cento rispetto a quello maschile, ovvero in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 5 per cento quello maschile.
L’agevolazione è modellata sull’incentivo per l’occupazione di cui all’articolo 7 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, (legge finanziaria per il 2001) che nel corso dell’attuale legislatura è stato prima «congelato» e quindi ridimensionato, fino a svuotarne progressivamente l’effettività sia con una riduzione degli importi ammessi al credito d’imposta, sia attraverso l’eliminazione del carattere di automaticità dell’incentivo.
Un’agevolazione fiscale riconosciuta direttamente al nucleo familiare di appartenenza della lavoratrice è invece prevista dall’articolo 3 del presente disegno di legge, a titolo di incentivo alla ripresa dell’attività lavorativa dopo la maternità.
Con riferimento ai figli nati dopo il 31 dicembre 2004 da madri residenti che, inoccupate o disoccupate alla data del parto, intraprendano una nuova attività lavorativa, anche in forma autonoma, entro tre anni dalla stessa data, si prevede un significativo incremento della detrazione per carichi familiari già prevista dal testo unico delle imposte sui redditi (articolo 13, comma 1, lettera b), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) per i nuclei familiari in particolari condizioni economiche. Fermi restando i requisiti di reddito già previsti per l’accesso alla detrazione per carichi familiari, la norma ne indica l’importo in 2.500 euro, per i cinque anni successivi all’avvio o la ripresa dell’attività lavorativa.
In caso d’incapienza, la quota di detrazione non goduta è riconosciuta sotto forma di assegno alla lavoratrice.
Inoltre, nel quadro della generale revisione degli istituti di sostegno al reddito delle famiglie prevista dalla disciplina di delega di cui all’articolo 11 del presente disegno di legge, si prevede la possibilità che lo stesso importo riconosciuto come detrazione d’imposta possa essere in alternativa accreditato, sotto forma di contribuzione diretta, sul «Conto individuale del neonato» intestato al figlio per il quale si è avuto accesso all’incentivo.
Al fine di incentivare l’assunzione di persone che avviano o riprendono l’attività lavorativa dopo periodi dedicati alla cura della famiglia, l’articolo 4 prevede, per i datori di lavoro che assumano tali soggetti con contratti a tempo indeterminato, l’integrale fiscalizzazione degli oneri contributivi per un periodo di tre anni dalla data dell’assunzione.
Una novella della disciplina vigente del lavoro part-time, finalizzata a promuovere il ricorso su base volontaria a tale modalità di prestazione, è invece prevista all’articolo 5. Le modifiche proposte al decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, come modificato dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono orientate in primo luogo a riequilibrare, in senso più favorevole al lavoratore, la disciplina delle clausole elastiche che possono essere previste dai contratti collettivi in ordine alla collocazione temporale della prestazione. In secondo luogo, e per la medesima finalità, si è modificata la disciplina per la denuncia del patto, da parte del lavoratore, per esigenze di salute personale o di carattere familiare, connesse alla cura di figli minori o di familiari disabili.
In chiave esclusivamente promozionale è la misura di cui all’articolo 6, che novella la legge 8 marzo 2000, n. 53, in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, prevedendo nuove forme di incentivo alla flessibilità oraria e al part-time. In particolare, si prevede che una quota non inferiore a 40 milioni di euro del Fondo per l’occupazione sia annualmente destinata all’erogazione di contributi in favore di aziende che applicano accordi contrattuali che prevedono:
a) la trasformazione, reversibile e su base volontaria, del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, su richiesta delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, anche adottivi o affidatari, con figli fino ad otto anni di età ovvero fino a dodici anni in caso di affidamento o di adozione;
b) l’adozione di azioni positive per la flessibilità dell’orario di lavoro, orientate a consentire alla lavoratrice madre e al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, anche attraverso il ricorso su base volontaria al telelavoro e al lavoro a domicilio;
c) la realizzazione di programmi di formazione per il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti dopo i periodi di congedo parentale; nonchè di progetti che consentano la sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori autonomi che beneficino del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altra lavoratrice o lavoratore autonomo.
L’altro fronte di riforma sul quale intende incidere la presente proposta di legge è costituito dal potenziamento dell’istituto del congedo parentale. A tal fine, l’articolo 7 novella il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, introducendo una nuova disciplina del trattamento economico e normativo dei congedi parentali.
In particolare, si prevede che per i periodi di congedo parentale, alle lavoratrici e ai lavoratori che vi accedono avendo un reddito familiare inferiore a 20mila euro annui, secondo l’indice ISE, l’indennità dovuta sia elevata fino al 70 per cento della retribuzione, rispetto all’attuale 30 per cento oggi corrisposto indifferentemente per tutti i livelli di retribuzione.
Inoltre, si porta a nove mesi il periodo massimo complessivo di congedo che i due genitori possono richiedere per lo stesso figlio.
Un’innovazione assoluta rispetto all’ordinamento, e di grande rilevanza civile, è costituita dalla disciplina di cui all’articolo 8, orientata a riconoscere alla lavoratrici parasubordinate – trasformate in lavoratrici a progetto dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30, – un pieno diritto alla tutela della maternità, della malattia e dell’infortunio, oggi gravemente conculcato. A questo scopo, si propone la sostituzione dell’articolo 66 del decreto legislativo n. 276 del 2003 con una nuova disciplina per la tutela della gravidanza, della malattia e dell’infortunio nei lavori a progetto.
In particolare, si prevede che la gravidanza, la malattia e l’infortunio della collaboratrice e del collaboratore a progetto non possano in nessun caso comportare l’anticipata conclusione del rapporto contrattuale: in caso di malattia e infortunio comportanti un’astensione dall’attività lavorativa superiore a dieci giorni, la durata del contratto è prorogata per un periodo corrispondente, sebbene non oltre un sesto della durata del contratto, quando essa sia determinata, ovvero non oltre trenta giorni per i contratti di durata determinabile (salva più favorevole disposizione del contratto individuale); in caso di gravidanza, invece, la durata del contratto, quando essa sia determinata, è prorogata per un periodo di nove mesi.
Infine, alle collaboratrici a progetto è estesa – sotto tutti gli altri profili, economici e normativi – la disciplina in materia di congedo per maternità oggi applicabile alla lavoratrici subordinate.
Agli interventi per la promozione dell’imprenditoria e dell’autoimprenditorialità femminile è dedicato il Capo II del presente disegno di legge.
In particolare, l’articolo 9 reca, per un verso, il rifinanziamento delle misure vigenti a sostegno dell’imprenditoria e dell’autoimprenditorialità femminili e, per altro verso, incide sulla disciplina del finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale, di cui all’articolo 3 della legge 10 aprile 1991, n. 125.
Inoltre, lo stesso articolo prevede che, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di sostegno all’innovazione per i settori produttivi, le regioni attuino, per le finalità coerenti con la legge 25 febbraio 1992, n. 215, in accordo con le associazioni di categoria, programmi per la formazione continua e per la promozione dell’autoimpiego femminile, e concorrano alla realizzazione di piani e progetti aziendali, territoriali, settoriali o individuali finalizzati alla formazione delle lavoratrici autonome.
Al fine di coordinare e razionalizzare l’implementazione di tali misure di sostegno, l’articolo 10 prevede l’istituzione, presso il Ministero per le pari opportunità, di un nuovo «Comitato per la formazione continua delle lavoratrici autonome e la promozione dell’imprenditoria femminile», in sostituzione del «Comitato per l’imprenditoria femminile», di cui all’articolo 10 della legge 25 febbraio 1992, n. 215, e della «Commissione per la promozione e lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile», di cui al decreto del Ministro per le pari opportunità del 19 febbraio 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 4 marzo 1997.
Tale Comitato è composto dal Ministro per le pari opportunità, con funzioni di presidente, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro delle attività produttive, dal Ministro per le politiche agricole e forestali, dal Ministro dell’economia e delle finanze, o da loro delegati; da due rappresentanti della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, da una rappresentante del Comitato di parità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da una rappresentante degli istituti di credito, da una rappresentante per ciascuna delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della cooperazione, della piccola industria, del commercio, dell’artigianato, dell’agricoltura, del turismo e dei servizi.
Secondo la disciplina proposta, il Comitato è tenuto a svolgere le funzioni di indirizzo e di programmazione generale in ordine alle politiche per lo sviluppo e il sostegno dell’imprenditoria femminile, per la formazione continua delle lavoratrici autonome e per la promozione della cultura d’impresa tra le donne. Il Comitato ha altresì il compito di vigilare sulla corretta attuazione delle normative nazionali e comunitarie nelle stesse materie, al fine di adottare le conseguenti iniziative normative e amministrative.
Per tali finalità esso può avvalersi dei risultati e delle elaborazioni di un apposito «Osservatorio per la formazione continua e la valorizzazione della cultura d’impresa delle lavoratrici autonome», istituito presso il Ministero delle pari opportunità. All’Osservatorio sono attribuite le seguenti funzioni:
a) l’elaborazione di proposte di indirizzo e di linee-guida per l’implementazione di programmi di formazione professionale continua a favore delle donne che svolgono o intendano svolgere attività di lavoro autonomo;
b) la promozione di attività di studio e di ricerca e di campagne informative sull’imprenditorialità femminile;
c) il monitoraggio degli interventi legislativi e dei programmi governativi, locali e comunitari, rilevanti ai fini della promozione delle pari opportunità in materia di imprenditoria, anche ai fini della misurazione degli effetti complessivi, dal punto di vista occupazionale, economico e della diffusione della cultura d’impresa;
d) l’adozione di programmi specifici aventi il fine di facilitare la diffusione sul territorio della conoscenza delle risorse disponibili e delle modalità di accesso agli strumenti nazionali ed ai fondi comunitari, anche mediante l’organizzazione sul territorio di strutture specifiche per la informazione e per la promozione e lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali femminili.
Le proposte d’indirizzo dell’Osservatorio sono inoltre trasmesse alle regioni ed alle province autonome territorialmente interessate affinchè ne possano tenere conto nell’esercizio della potestà legislativa concorrente ed esclusiva ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in materia rispettivamente di sostegno all’innovazione per i settori produttivi e di formazione professionale.
Agli interventi in materia di politiche per la famiglia, sempre in chiave di incentivazione e sostegno alla partecipazione al lavoro delle donne, è dedicato il Capo III del presente disegno di legge.
L’articolo 11 reca un’articolata disciplina di delega al Governo ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni intese a potenziare e razionalizzare gli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli, anche attraverso l’istituzione di strumenti di risparmio agevolato intesi a promuovere l’autonomia dei giovani.
A tal fine sono dettati i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) al fine di limitare l’insorgenza di situazioni di incapienza nell’accesso alle agevolazioni fiscali per i carichi familiari, prevedere una ridefinizione della disciplina delle detrazioni dall’imposta sui redditi, orientata a ridurre progressivamente il ricorso a tale istituto e a potenziare corrispondentemente il ricorso alle forme di sostegno di diretto;
b) sulla base di una complessiva ricognizione di tutti gli istituti e le forme di sostegno diretto e indiretto al reddito, a vario titolo riconosciuti ai nuclei familiari, con particolare riguardo alla composizione ed estensione della platea dei beneficiari, alle condizioni di accesso a ciascun istituto e ai rispettivi costi, prevedere la progressiva sostituzione degli stessi con forme di sostegno diretto al reddito delle famiglie attivabili sulla base di nuovi ed omogenei criteri di assegnazione, che tengano conto della condizione reddituale, dell’ampiezza e della composizione del nucleo familiare;
c) per la medesima finalità, disporre una complessiva revisione la disciplina dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), orientata a massimizzare l’efficienza, l’equità e la trasparenza nella valutazione delle condizioni sociali e reddituali rilevanti ai fini del riconoscimento dell’assegno per la famiglia, rendendo a tal fine pienamente accessibile ed agevole anche l’autovalutazione di tali condizioni da parte dei soggetti interessati;
d) nell’ambito della revisione della disciplina dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), prevedere meccanismi di adeguamento automatico delle tabelle di equivalenza, orientati a recuperare la perdita del potere di acquisto delle famiglie;
e) prevedere delle adeguate forme di collegamento tra l’accesso all’assegno per la famiglia, da parte di nuclei familiari con figli minori, e la garanzia di ottemperanza alle disposizioni vigenti in materia di obbligo scolastico e lavoro minorile;
f) prevedere che a ciascun nuovo nato sia riconosciuta la titolarità di un «Conto personale del neonato», istituito presso l’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) e finalizzato al sostegno economico per la cura, l’assistenza e la formazione del nuovo nato, nonchè alla promozione della sua autonomia;
g) prevedere che il «Conto personale del neonato» possa essere alimentato, fino al compimento del venticinquesimo anno di età del titolare, attraverso le seguenti fonti di finanziamento segnalate con distinta evidenza contabile in sede di emissione dell’estratto conto:
1) l’accreditamento degli assegni familiari e degli altri contributi pubblici riconosciuti alla famiglia a titolo di sostegno al reddito, in relazione alle esigenze di cura, assistenza e formazione del minore titolare del Conto;
2) l’accreditamento di borse o assegni di studio riconosciuti al titolare del Conto da istituzioni pubbliche e private, nonchè dei contributi pubblici a vario titolo erogati per la tutela del diritto allo studio;
3) i versamenti, occasionali o periodici, da parte di familiari, tutori o affidatari, nonchè di altri soggetti privati a tal fine espressamente autorizzati dagli esercenti la potestà sul minore;
4) la contribuzione statale o regionale integrativa, in relazione a particolari condizioni sociali ed economiche del titolare del Conto, ovvero per specifiche finalità di impiego del contributo;
5) l’accreditamento degli importi erogati dallo Stato a titolo di prestito a condizioni agevolate, rimborsabile con rateazione a lungo termine, per specifiche finalità di istruzione o formazione professionale del titolare del Conto;
h) prevedere che agli importi versati sul Conto si applichi un tasso annuo di rivalutazione, come annualmente individuato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia, almeno pari al rendimento annuo dei titoli di credito a medio-lungo termine emessi dal Tesoro;
i) prevedere che possano avere accesso al Conto:
1) fino al raggiungimento della maggiore età del titolare, i genitori, tutori o affidatari del minore; in tal caso i prelievi eccedenti la quota di risorse derivante da contribuzione pubblica sono condizionati a documentate esigenze di concorso alle spese di sostentamento, cura, assistenza, istruzione e formazione del titolare del Conto;
2) il titolare del Conto, a decorrere dal raggiungimento della maggiore età e fino al venticinquesimo anno di età, per documentate esigenze di istruzione o formazione professionale, ovvero per l’avvio di attività professionali e imprenditoriali.
Nuove e specifiche disposizioni in materia di asili-nido sono contenute all’articolo 12 della presente proposta di legge. In cartolare si prevede che, a decorrere dall’anno 2005, le spese di partecipazione, sostenute dai genitori, alla gestione dei micro-nidi e degli asili nido territoriali, siano deducibili dal reddito complessivo ai fini dell’imposta sui redditi delle persone fisiche, per un importo non superiore ai 2.000 euro per ogni figlio che fruisce di tali strutture.
Inoltre, al fine di promuovere e sostenere la realizzazione su tutto il territorio nazionale di almeno 3.000 nuovi asili nido entro l’anno 2007, è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito «Fondo nazionale per gli asili nido», di seguito denominato «fondo», finalizzato al cofinanziamento degli investimenti promossi dalle amministrazioni locali per la costruzione ovvero la riqualificazione di strutture destinate ad asili nido.
Infine, il Capo IV del presente disegno di legge è dedicato alle misure per l’attuazione dell’articolo 51 della Costituzione, in materia di pari opportunità nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. Tale disciplina nasce dall’esigenza di un rinnovamento delle istituzioni che si realizzi non solo nel rispetto dei principi democratici, ma anche con l’obiettivo di uno Stato più aperto, più vicino ai cittadini, capace di corrispondere meglio ai bisogni di una società in trasformazione, più esigente e ricca di elementi di partecipazione democratica.
A cinquant’anni dal riconoscimento alle donne italiane del diritto di voto, attivo e passivo, si verifica un crescente paradosso: si moltiplicano la qualità e la quantità delle donne in tutti i campi sociali, culturali e professionali, seppure con le difficoltà legate soprattutto ad una persistente delega nei loro confronti del lavoro di cura e dei compiti familiari, nonchè ad una permanente resistenza nel riconoscere loro pari condizioni di accesso ai ruoli dirigenziali; ma questo impetuoso avanzamento, qualcuno l’ha definita la rivoluzione più lunga del secolo, non trova che un marginale riconoscimento – soprattutto nel nostro Paese, ma anche in altri Stati europei – nell’accesso delle donne alle assemblee elettive e ai centri decisionali, luoghi deputati ad esprimere la garanzia effettiva del diritto di cittadinanza sociale e politica.
Le cifre purtroppo parlano chiaro: riferendoci solo al Parlamento, nelle elezioni politiche del 13 maggio 2001 sono state elette 64 donne alla Camera (43 con il sistema uninominale e 21 con il recupero proporzionale) e 24 al Senato: 88 donne su 945 parlamentari per una percentuale del 9,2 per cento. Eppure il principio di uguaglianza dei cittadini e della loro pari dignità sociale è già costituzionalizzato nell’articolo 3, secondo comma, della Costituzione non soltanto come precetto formale ma come concreta previsione per la Repubblica del dovere di rimuovere gli «ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese».
In questo articolo si è radicata e alimentata tutta quella produzione legislativa tesa a configurare condizioni di reali pari opportunità, identificando le situazioni di concreto svantaggio e disuguaglianza di partenza e di status tra i cittadini e in particolare tra uomini e donne.
Si pensi alla filosofia che, a partire dagli anni Ottanta – in Italia e in Europa – ha ispirato la legislazione sulle «azioni positive» in campo sociale ed economico, rivolte non solo a rimuovere situazioni di ostacolo o di discriminazione diretta o indiretta, ma a promuovere misure specifiche, anche circoscritte nel tempo e nello spazio, mirate al superamento di condizioni di concreta difficoltà.
Il Consiglio d’Europa ha adottato fin dal 1991 una raccomandazione perchè l’eguaglianza di trattamento fra uomini e donne in tutti i campi sia iscritto come diritto fondamentale della persona umana a livello nazionale e internazionale e ha moltiplicato le iniziative volte a rafforzare il concetto di democrazia paritaria, che è ormai entrata a pieno titolo anche nei documenti internazionali. La Carta di Roma, sottoscritta da quindici ministri europei il 18 maggio 1996, ha ribadito gli stessi princìpi, proiettandoli sul futuro trattato europeo (infatti nella nuova Costituzione europea si fa riferimento appunto al recepimento di questo principio). In particolare ha affermato «la necessità di azioni concrete a tutti i livelli per promuovere la partecipazione ugualitaria di donne e uomini ai processi decisionali in tutte le sfere della società».
In tal senso il Governo Prodi, emanò una direttiva che dava attuazione al IV Programma d’azione europeo adottato nel 1996 (direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 marzo 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 116 del 21 maggio 1997), che aveva come obiettivo la partecipazione equilibrata di uomini e donne nei luoghi decisionali in applicazione anche del Piano di azione sottoscritto da 189 Stati alla IV Conferenza mondiale dell’ONU di Pechino sulle donne del 4-15 settembre 1995.
Si tratta di pochi ma significativi riferimenti al quadro internazionale (oltrechè nazionale), dai quali si evince che il principio universale di uguaglianza e di non discriminazione è «norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta», cui l’Italia deve conformarsi ai sensi dell’articolo 10 della Costituzione (risultandone così integrato e rafforzato l’articolo 3 della Costituzione), e deve essere quindi preoccupazione costante di chi è chiamato ad un’ampia riforma istituzionale e degli strumenti di garanzia costituzionale.
La sfida, per uomini e per donne, è quella di inserirsi nei processi politici e decisionali soprattutto in una fase di transizione e di cambiamento come l’attuale: e la via maestra consiste nell’inserimento nel cosiddetto mainstream, cioè nei processi politici in cui coesistono volontà e responsabilità personale. Sappiamo, però, che il ricorso a strumenti e misure specifici, che in qualche modo debbano surrogare una carenza di consapevolezza politica, è pur sempre una soluzione scarsamente appagante anche per le donne. Ma di fronte all’attuale rischio di «rimozione» del problema della sottorappresentanza delle donne nelle istituzioni, pur a fronte della sua persistenza, è necessario ed urgente un correttivo.
L’approvazione della legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, di modifica dell’articolo 51 della Costituzione, ha mutato il quadro costituzionale di riferimento, favorendo l’introduzione nell’ordinamento di correttivi che facilitino una presenza equilibrata di donne ed uomini.
A tal fine, il presente disegno di legge interviene in ordine alle elezioni del Parlamento Europeo, della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, dei Consigli regionali, comunali e provinciali (articoli da 14 a 21).
Per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, anzitutto si pone il problema di assicurare una presenza alternata delle donne e degli uomini rispettivamente nelle liste proporzionali e nell’ambito dei gruppi di candidati presentati su tutto il territorio con un medesimo contrassegno. Il testo prevede che nell’ambito delle liste recanti il medesimo contrassegno, ovvero tra i cittai gruppi di candidati, ogni sesso non sia rappresentato in misura superiore ai due terzi (articolo 15).
Analoga disposizione è prevista per le elezioni dei Consigli comunali e provinciali (articoli 16 e 17).
In fine, per garantire l’effettività delle suddette disposizioni, è previsto che le liste o le candidature non conformi alla legge, in materia di rappresentanza obbligatoria dei sessi nelle liste elettorali, siano comunque inammissibili. La mancata ottemperanza all’obbligo di alternanza tra candidati di sesso diverso, a partire dalla candidatura capolista, è invece sanzionata con la preclusione all’accesso ai rimborsi elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157 (articolo 18).
Misure premiali per i partiti o movimenti politici che sostengono le candidature femminili nelle elezioni politiche, regionali ed europee, sono invece previste dall’articolo 19.
Tale disposizione novella la legge 3 giugno 1999, n. 157, prevedendo una nuova disciplina per l’erogazione di risorse finanziarie per accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica.
Al fine di incentivare e sostenere la partecipazione delle donne agli organi di rappresentanza, una quota pari al 20 per cento dei fondi complessivamente destinati alle spese elettorali per il rinnovo di ciascuno degli organi elettivi europei, nazionali e regionali, è riservata ai partiti o movimenti politici che, nelle relative consultazioni elettorali, abbiano almeno il 30 per cento di donne tra i rispettivi candidati eletti.
In caso di mancata attribuzione della quota di cui al comma 1, le relative risorse finanziarie sono destinate alle finalità di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125, recante azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna.
Inoltre, ogni partito o movimento politico è tenuto non solo a destinare una quota pari almeno al 10 per cento dei rimborsi ricevuti per ciascuno dei fondi ricevuti ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica, ma anche a dare conto in forma dettagliata, nell’ambito dei propri bilanci, della tipologia, dell’estensione e del costo di ciascuna iniziativa realizzata per le finalità di promozione della partecipazione politica delle donne.
Una disciplina premiale specifica è dettata – all’articolo 20 – per i partiti o movimenti politici che sostengono le candidature femminili nelle elezioni provinciali e comunali.
In particolare, al fine di incentivare e sostenere la partecipazione delle donne agli organi di rappresentanza, una quota pari al 15 per cento del fondo previsto dalla legge 10 aprile 1991, n. 125, è riservata ai partiti e movimenti politici, liste o gruppi di candidati che nelle consultazioni elettorali provinciali e comunali abbiano riportato almeno il 30 per cento di donne tra i rispettivi candidati eletti, a titolo di contributo totale o parziale delle spese sostenute per la campagna elettorale.
Infine, l’articolo 21 reca nuove norme a tutela della rappresentanza equilibrata di donne e uomini nelle giunte e negli organi collegiali degli enti locali.
Esso prevede che, in attuazione dell’articolo 51 della Costituzione, gli statuti comunali e provinciali stabiliscano norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonchè degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Per tali finalità, gli statuti comunali e provinciali sono tenuti a prevedere modalità di nomina dei componenti della Giunta idonee a garantire l’equilibrata rappresentanza di entrambi i sessi. A tal fine, gli statuti devono prevedere che al sesso meno rappresentato nel Consiglio comunale o provinciale sia riservata una quota percentuale.

DISEGNO DI LEGGE
Capo I
NORME A SOSTEGNO DELLA PARTECIPAZIONE AL LAVORO DELLE DONNE
Art. 1.
(Finalità)
1. Nel perseguimento della finalità generale di sostegno e incentivo al rafforzamento della partecipazione delle donne alla vita economica, sociale, politica e istituzionale del paese, la presente legge è orientata alla realizzazione dei seguenti obiettivi:
a) il raggiungimento, entro il 2010, del tasso di occupazione femminile individuato nell’ambito del documento conclusivo approvato dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000;
b) l’instaurazione di condizioni più favorevoli alla piena attuazione dell’articolo 51 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, con riguardo alle pari opportunità nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive.
Art. 2.
(Incentivi all’occupazione
delle giovani donne)
1. Ai datori di lavoro che, nel periodo compreso tra il 1º gennaio 2005 e il 31 dicembre 2010, incrementano il numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato attraverso l’assunzione, nelle condizioni di cui al comma 5, di giovani lavoratrici, è concesso il credito di imposta di cui al comma 2. Sono esclusi all’ambito di applicazione del presente articolo i soggetti di cui all’articolo 74 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
2. Il credito d’imposta è commisurato, nella misura di 500 euro per ciascuna lavoratrice assunta e per ciascun mese, alla differenza tra il numero dei lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato rilevato in ciascun mese rispetto al numero dei lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato mediamente occupati nel periodo compreso tra il 1º gennaio e il 31 dicembre dell’anno 2004. Il credito di imposta decade se, su base annuale, il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, a tempo indeterminato e a tempo determinato, compresi i lavoratori con contratti di lavoro con contenuto formativo, risulta inferiore o pari al numero complessivo dei lavoratori dipendenti mediamente occupati nel periodo compreso tra il 1º gennaio e il 31 dicembre dell’anno 2004. Per le assunzioni di dipendenti con contratti di lavoro a tempo parziale, il credito d’imposta spetta in misura proporzionale alle ore prestate rispetto a quelle del contratto nazionale. Il credito d’imposta è concesso anche ai datori di lavoro operanti nel settore agricolo che incrementano il numero dei lavoratori operai, ciascuno occupato per almeno 230 giornate all’anno.
3. L’incremento della base occupazionale va considerato al netto delle diminuzioni occupazionali verificatesi in società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto. Per i soggetti che assumono la qualifica di datore di lavoro a decorrere dal 1º gennaio 2005, ogni lavoratore dipendente assunto costituisce incremento della base occupazionale. I lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo parziale si assumono nella base occupazionale in misura proporzionale alle ore prestate rispetto a quelle del contratto nazionale.
4. Il credito d’imposta, che non concorre alla formazione del reddito e del valore della produzione rilevante ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) nè ai fini del rapporto di cui all’articolo 96 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è utilizzabile, a decorrere dal 1º gennaio 2001, esclusivamente in compensazione ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
5. Il credito d’imposta di cui al comma 1 spetta a condizione che:
a) le lavoratrici assunte siano di età non superiore a 32 anni;
b) le lavoratrici assunte siano residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile, come determinato con apposito decreto del Ministro dei lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sia inferiore almeno del 10 per cento rispetto a quello maschile, ovvero in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 5 per cento quello maschile;
c) le lavoratrici assunte non abbiano svolto attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato da almeno ventiquattro mesi;
d) siano osservati i contratti collettivi nazionali anche con riferimento ai soggetti che non hanno dato diritto al credito d’imposta;
e) siano rispettate le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dalv decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e dal decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, nonché dai successivi decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie in materia di sicurezza ed igiene del lavoro.
6. Nel caso di impresa subentrante ad altra nella gestione di un servizio pubblico, anche gestito da privati, comunque assegnata, il credito d’imposta spetta limitatamente al numero di lavoratori assunti in più rispetto a quello dell’impresa sostituita.
7. Qualora vengano definitivamente accertate violazioni non formali, e per le quali sono state irrogate sanzioni di importo superiore a 2.500 euro, alla normativa fiscale e contributiva in materia di lavoro dipendente, ovvero violazioni alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, prevista dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e dal decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, nonché dai successivi decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, commesse nel periodo in cui si applicano le disposizioni del presente articolo e qualora siano emanati provvedimenti definitivi della magistratura contro il datore di lavoro per condotta antisindacale ai sensi dell’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, le agevolazioni sono revocate. Dalla data del definitivo accertamento delle violazioni, decorrono i termini per far luogo al recupero delle minori imposte versate o del maggiore credito riportato e per l’applicazione delle relative sanzioni.
8. Le agevolazioni previste dal presente articolo sono cumulabili con altri benefici eventualmente concessi.
9. Entro il 31 dicembre 2006 il Governo provvede ad effettuare la verifica ed il monitoraggio degli effetti delle disposizioni di cui al presente articolo, identificando la nuova occupazione generata per area territoriale, sesso, età e professionalità.
10. Ai fini delle agevolazioni previste dal presente articolo, i soci lavoratori di società cooperative sono equiparati ai lavoratori dipendenti.
Art. 3.
(Incentivi alla ripresa dell’attività lavorativa dopo la maternità)
1. Con riferimento ai figli nati successivamente al 31 dicembre 2004 da madri residenti che, inoccupate o disoccupate alla data del parto, intraprendano una nuova attività lavorativa, anche in forma autonoma, entro tre anni dalla stessa data, la detrazione per carichi di famiglia, di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è stabilita in 2.500 euro, per un periodo massimo di cinque anni a decorrere dall’anno di imposta in cui avviene la ripresa o l’avvio dell’attività lavorativa, in costanza delle condizioni di reddito previste dalla medesima disposizione.
2. In caso d’incapienza, totale o parziale, dell’imposta dovuta ai sensi del presente articolo, la quota di detrazione non goduta è riconosciuta sotto forma di assegno alla madre lavoratrice.
3. A decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo attuativo delle disposizioni di delega di cui all’articolo 11, comma 1, lettere da f) ad i), in alternativa all’accesso alla detrazione d’imposta di cui al comma 1, gli importi corrispondenti alla medesima detrazione, ovvero le quote di detrazione per carichi familiari non godute per incapienza, possono essere direttamente accreditati sul «Conto personale del neonato», di cui all’articolo 11, comma 2, lettera f), intestato al figlio per il quale ricorrano le condizioni di cui al comma 1.
4. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono stabilite le modalità di accesso ai benefici di cui al presente articolo.
Art. 4.
(Incentivi ai datori di lavoro per l’assunzione di persone che avviano o riprendono l’attività lavorativa dopo periodi dedicati alla cura della famiglia)
1. Al fine di incentivare l’assunzione di persone di età superiore a quaranta anni, che avviano o riprendono l’attività lavorativa dopo periodi dedicati alla cura della famiglia, gli oneri contributivi dovuti dal datore di lavoro che assume con contratto a tempo indeterminato un soggetto in possesso dei requisiti di cui al comma 2 sono integralmente fiscalizzati per un periodo di tre anni dalla data dell’assunzione.
2. È ammesso all’incentivo di cui al comma 1 ciascun datore di lavoro che assume con contratto a tempo indeterminato una persona di età non inferiore a quaranta anni, in condizione di inoccupazione o disoccupazione da almeno due anni, che nello stesso periodo sia stata impegnata in lavoro di cura in favore di:
a) figli di età inferiore ai dodici anni, anche adottivi o in affidamento;
b) familiari disabili gravi, ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni;
c) familiari non autosufficienti.
3. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, emanato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, d’intesa con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e per le pari opportunità, sono individuate le modalità di accesso al beneficio di cui al presente articolo.
Art. 5.
(Nuove norme in materia di lavoro
a tempo parziale)
1. Al fine di promuovere il ricorso al lavoro a tempo parziale su base volontaria, in funzione di sostegno alla compatibilità dei tempi di vita e di lavoro, all’articolo 3 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. Ferma restando l’indicazione nel contratto di lavoro della distribuzione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno, i contratti collettivi, di cui all’articolo 1, comma 3, e successive modificazioni, applicati dal datore di lavoro interessato, possono prevedere clausole elastiche in ordine alla sola collocazione temporale della prestazione lavorativa, determinando le condizioni e le modalità a fronte delle quali il datore di lavoro può variare detta collocazione, rispetto a quella inizialmente concordata col lavoratore ai sensi dell’articolo 2, comma 2»;
b) al comma 8, le parole: «, fatte salve le intese tra le parti, di almeno due giorni lavorativi» sono sostituite dalle seguenti: «di almeno dieci giorni lavorativi»;
c) al comma 9, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Nel patto è fatta espressa menzione della data di stipulazione e della possibilità di denuncia del patto ai sensi del comma 10-bis»;
d) dopo il comma 10 sono inseriti i seguenti:
«10-bis. Durante lo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale il lavoratore può denunciare il patto di cui al comma 9, accompagnando alla denuncia l’indicazione di una delle seguenti documentate ragioni:
a) esigenze di carattere familiare connesse alla cura di figli di età inferiore ai dodici anni, anche adottivi o in affidamento;
b) esigenze di tutela della salute certificate dal competente Servizio sanitario pubblico;
c) esigenze di assistenza a familiari disabili gravi, ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, ovvero di familiari non autosufficienti;
d) per gravi motivi, ai sensi dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53.
10-ter. La denuncia in forma scritta, potrà essere effettuata quando siano decorsi almeno cinque mesi dalla data di stipulazione del patto e dovrà essere altresì accompagnata da un preavviso di un mese in favore del datore di lavoro. Il datore di lavoro ha facoltà di rinunciare al preavviso.
10-quater. Il rifiuto da parte del lavoratore di stipulare il patto di cui al comma 9 e l’esercizio da parte dello stesso del diritto di ripensamento non possono integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
10-quinquies. A seguito della denuncia di cui al comma 10-bis viene meno la facoltà del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa inizialmente concordata ai sensi dell’articolo 2, comma 2. Successivamente alla denuncia, nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro è fatta salva la possibilità di stipulare un nuovo patto scritto in materia di collocazione temporale elastica della prestazione lavorativa a tempo parziale, osservandosi le disposizioni del presente articolo.»
Art. 6.
(Misure di incentivazione e sostegno della flessibilità oraria e del part-time)
1. L’articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, è sostituito dal seguente:
«Art. 9. - (Incentivi alla flessibilità oraria e al part-time). – 1. Al fine di promuovere e incentivare il ricorso a forme di articolazione della prestazione lavorativa compatibili con le esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici, a decorrere dall’anno 2005, una quota annua non inferiore a 40 milioni di euro del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, è destinata all’erogazione di contributi in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono:
a) la trasformazione, reversibile e su base volontaria, del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, su richiesta delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, anche adottivi o affidatari, con figli fino ad otto anni di età ovvero fino a dodici anni in caso di affidamento o di adozione;
b) l’adozione di azioni positive per la flessibilità dell’orario di lavoro, orientate a consentire alla lavoratrice madre e al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, anche attraverso il ricorso su base volontaria al telelavoro e al lavoro a domicilio;
c) la realizzazione di programmi di formazione per il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti dopo i periodi di congedo parentale; nonchè di progetti che consentano la sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori autonomi che beneficino del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altra lavoratrice o lavoratore autonomo».
2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità di accesso ai contributi, nonchè la modulazione degli stessi, sulla base dei seguenti criteri:
a) destinazione del 50 per cento delle risorse alle imprese che occupano fino a cinquanta dipendenti;
b) riconoscimento di importi maggiori alle aziende che adottano le misure di cui al comma 1, lettere a) e b);
c) attribuzione dei contributi con priorità per le imprese ubicate nelle aree a più basso tasso di occupazione femminile.
Art. 7.
(Nuove norme in materia di trattamento economico e normativo dei periodi di
congedo parentale)
1. L’articolo 34 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, è sostituito dal seguente:
«Art. 34. - (Trattamento economico e normativo dei congedi parentali). – 1. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32, alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di nove mesi. L’indennità è calcolata secondo quanto previsto all’articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso.
2. Nel caso in cui le risorse economiche del nucleo familiare di appartenenza del bambino risultino pari o inferiori ai valori dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, e successive modificazioni, pari ad euro 20.000 annui con riferimento a nuclei monoreddito con tre componenti, l’indennità di cui al comma 1 è pari al 70 per cento della retribuzione. Per nuclei familiari con diversa composizione, il requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza di cui alla tabella 2 del medesimo decreto legislativo n. 109 del 1998, e successive modificazioni, tenendo conto delle maggiorazioni ivi previste.
3. L’indennità di cui ai commi 1 e 2 è corrisposta per tutto il periodo di prolungamento del congedo per la cura di minori con handicap in situazione di gravità, ai sensi dell’articolo 33.
4. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32 ulteriori rispetto a quanto previsto ai commi 1 e 3 è dovuta un’indennità pari al 50 per cento della retribuzione, a condizione che ricorrano le condizioni di reddito di cui al comma 2.
5. L’indennità per congedo parentale è corrisposta con le modalità di cui di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e successive modificazioni, e con gli stessi criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie.
6. I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti.
7. Nel caso in cui ricorrano le condizioni di reddito di cui al comma 2, i periodi di congedo parentale sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti.
8. Ai congedi parentali si applica quanto previsto all’articolo 22, commi 4, 6 e 7».
Art. 8.
(Nuove norme in materia di diritti dei collaboratori a progetto con particolare riguardo alla tutela della gravidanza)
1. L’articolo 66 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è sostituito dal seguente:
«Art. 66. - (Tutela della gravidanza, della malattia e dell’infortunio nei lavori a progetto). – 1. La gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore a progetto non possono in nessun caso comportare l’anticipata conclusione del rapporto contrattuale.
2. In caso di malattia e infortunio comportanti un’astensione dall’attività lavorativa superiore a dieci giorni, la durata del contratto è prorogata per un periodo corrispondente e comunque non oltre un sesto della durata del contratto, quando essa sia determinata, ovvero non oltre trenta giorni per i contratti di durata determinabile, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.
3. In caso di gravidanza, la durata del contratto, quando essa sia determinata, è prorogata per un periodo di nove mesi, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.
4. Alle collaboratrici a progetto si applica la disciplina in materia di congedo per maternità di cui agli articoli 16, 18, 19, 20 e 21 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e successive modificazioni.
5. Per tutto il periodo del congedo di maternità le collaboratrici a progetto hanno diritto ad un’indennità di maternità pari all’80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità.
6. Oltre alle disposizioni previste dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, e successive modificazioni, sul processo del lavoro, nonché dall’articolo 64 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del presente capo si applicano le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente, nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le norme di cui all’articolo 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 12 gennaio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2001».
2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate le aliquote di contribuzione per il finanziamento dei trattamenti economici di maternità corrisposti alle collaboratrici a progetto.
Capo II
INTERVENTI PER LA PROMOZIONE DELL’IMPRENDITORIA E DELL’IMPRENDITORIALITÀ FEMMINILE
Art. 9.
(Rifinanziamento delle misure a sostegno dell’imprenditoria e dell’autoimprenditorialità femminile)
1. Al fine di incrementare e promuovere le azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, l’articolo 3 della legge 10 aprile 1991, n. 125, è sostituito dal seguente:
«Art. 3. - (Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale). – 1. Al finanziamento dei progetti di formazione finalizzati al perseguimento dell’obiettivo di cui all’articolo 1, comma 1, approvati dal Fondo sociale europeo, è destinata una quota del Fondo di rotazione istituito dall’articolo 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, non inferiore al 25 per cento, determinata annualmente con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro per le pari opportunità.
2. La finalizzazione dei progetti di formazione al perseguimento dell’obiettivo di cui all’articolo 1, comma 1, viene accertata, entro il 31 marzo dell’anno in cui l’iniziativa deve essere attuata, dalla commissione regionale per l’impiego. Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato di cui all’articolo 5.
3. La quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 è ripartita tra le regioni con il seguente criterio:
a) per il 75 per cento tra tutte le regioni in misura proporzionale all’ammontare dei contributi richiesti per i progetti approvati;
b) per il 25 per cento tra le regioni in cui il tasso di occupazione femminile, come rilevato dall’ISTAT, è inferiore alla media nazionale, in proporzione alla popolazione residente».
2. A decorrere dall’anno 2004, il Fondo per lo sviluppo dell’imprenditoria femminile, di cui all’articolo 3 della legge 25 febbraio 1992, n. 215, è finanziato nella misura di 30 milioni di euro in ragione d’anno.
3. Nell’esercizio della potestà legislativa concorrente ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di sostegno all’innovazione per i settori produttivi, le regioni, anche a statuto speciale, nonché le province autonome di Trento e di Bolzano, attuano per le finalità coerenti con la legge 25 febbraio 1992, n. 215, in accordo con le associazioni di categoria, programmi per la formazione continua e per la promozione dell’autoimpiego, di piani e progetti aziendali, territoriali, settoriali o individuali finalizzati alla formazione delle lavoratrici autonome.
Art. 10.
(Comitato per la formazione continua delle lavoratrici autonome e la promozione dell’imprenditoria femminile)
1. Presso il Ministero per le pari opportunità è istituito il Comitato per la formazione continua delle lavoratrici autonome e la promozione dell’imprenditoria femminile, di seguito denominato «Comitato», composto dal Ministro per le pari opportunità, con funzioni di presidente, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro delle attività produttive, dal Ministro per le politiche agricole e forestali, dal Ministro dell’economia e delle finanze, o da loro delegati; da due rappresentanti della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da una rappresentante del Comitato di parità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da una rappresentante degli istituti di credito, da una rappresentante per ciascuna delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della cooperazione, della piccola industria, del commercio, dell’artigianato, dell’agricoltura, del turismo e dei servizi.
2. I membri del Comitato sono nominati con decreto del Ministro per le pari opportunità, su designazione delle organizzazioni di appartenenza, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, e restano in carica tre anni. Per ogni membro effettivo viene nominato un supplente.
3. Il Comitato elegge nel proprio ambito uno o due vicepresidenti; per l’adempimento delle proprie funzioni esso si avvale del personale e delle strutture messe a disposizione dai Ministri di cui al comma 1.
4. Il Comitato svolge le funzioni di indirizzo e di programmazione generale in ordine alle politiche per lo sviluppo e il sostegno dell’imprenditoria femminile, per la formazione continua delle lavoratrici autonome e per la promozione della cultura d’impresa tra le donne. Il Comitato ha altresì il compito di vigilare sulla corretta attuazione delle normative nazionali e comunitarie nelle stesse materie, al fine di adottare le conseguenti iniziative normative e amministrative.
5. Per le finalità di cui al comma 4, il Comitato si avvale dei risultati e delle elaborazioni dell’Osservatorio di cui al comma 6.
6. Presso il Ministero delle pari opportunità è istituito l’«Osservatorio per la formazione continua e la valorizzazione della cultura d’impresa delle lavoratrici autonome», di seguito denominato «Osservatorio», con le seguenti funzioni:
a) l’elaborazione di proposte di indirizzo e di linee-guida per l’implementazione di programmi di formazione professionale continua a favore delle donne che svolgono o intendano svolgere attività di lavoro autonomo;
b) la promozione di attività di studio e di ricerca e di campagne informative sull’imprenditorialità femminile;
c) il monitoraggio degli interventi legislativi e dei programmi governativi, locali e comunitari, rilevanti ai fini della promozione delle pari opportunità in materia di imprenditoria, anche ai fini della misurazione degli effetti complessivi, dal punto di vista occupazionale, economico e della diffusione della cultura d’impresa;
d) l’adozione di programmi specifici aventi il fine di facilitare la diffusione sul territorio della conoscenza delle risorse disponibili e delle modalità di accesso agli strumenti nazionali ed ai fondi comunitari, anche mediante l’organizzazione sul territorio di strutture specifiche per la informazione e per la promozione e lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali femminili.
7. Le proposte d’indirizzo dell’Osservatorio sono trasmesse alle regioni ed alle province autonome territorialmente interessate affinché ne possano tenere conto nell’esercizio della potestà legislativa concorrente ed esclusiva ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in materia rispettivamente di sostegno all’innovazione per i settori produttivi e di formazione professionale.
8. Per le finalità di cui al presente articolo il Comitato stabilisce gli opportuni collegamenti con il Servizio centrale per la piccola industria e l’artigianato di cui all’articolo 39, comma 1, lettera a), della legge 5 ottobre 1991, n. 317, e si avvale di consulenti, individuati tra persone aventi specifiche competenze professionali ed esperienze in materia di imprenditoria femminile.
9. Per lo svolgimento delle attività del Comitato è autorizzata la spesa annua di 400.000 euro, a decorrere dal 2004, a valere sul Fondo nazionale per lo sviluppo dell’imprenditoria femminile, di cui all’articolo 3 della legge 25 febbraio 1992, n. 215.
10. A decorrere dalla data di insediamento del Comitato, il Comitato per l’imprenditoria femminile, di cui all’articolo 10 della legge 25 febbraio 1992, n. 215, e la Commissione per la promozione e lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile, di cui al decreto del Ministro per le pari opportunità del 19 febbraio 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 4 marzo 1997, sono soppressi e le risorse finanziarie ad essi destinate sono trasferite al Fondo di cui al comma 9, per il finanziamento delle attività del Comitato.
Capo III
INTERVENTI IN MATERIA DI POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Art. 11.
(Potenziamento e razionalizzazione degli istituti di sostegno al reddito delle famiglie. Istituzione del «Conto individuale del neonato»)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo contenente disposizioni intese a potenziare e razionalizzare gli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli, anche attraverso l’istituzione di strumenti di risparmio agevolato intesi a promuovere l’autonomia dei giovani.
2. Il Governo, nell’esercizio della delega di cui al comma 1, si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere, al fine di limitare l’insorgenza di situazioni di incapienza nell’accesso alle agevolazioni fiscali per i carichi familiari, una ridefinizione della disciplina delle detrazioni prevista dall’articolo 13 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, orientata a ridurre progressivamente il ricorso a tale istituto e a potenziare corrispondentemente il ricorso alle forme di cui alla lettera b);
b) prevedere, sulla base di una complessiva ricognizione di tutti gli istituti e le forme di sostegno diretto e indiretto al reddito, a vario titolo riconosciuti ai nuclei familiari, con particolare riguardo alla composizione ed estensione della platea dei beneficiari, alle condizioni di accesso a ciascun istituto e ai rispettivi costi, la progressiva sostituzione degli stessi con forme di sostegno diretto al reddito delle famiglie attivabili sulla base di nuovi ed omogenei criteri di assegnazione, che tengano conto della condizione reddituale, dell’ampiezza e della composizione del nucleo familiare;
c) disporre, per la finalità di cui alla lettera b), una complessiva revisione della disciplina dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni, orientata a massimizzare l’efficienza, l’equità e la trasparenza nella valutazione delle condizioni sociali e reddituali rilevanti ai fini del riconoscimento dell’assegno per la famiglia, rendendo a tal fine pienamente accessibile ed agevole anche l’autovalutazione di tali condizioni da parte dei soggetti interessati;
d) prevedere, nell’ambito della revisione della disciplina dell’ISEE di cui alla lettera c), meccanismi di adeguamento automatico delle tabelle di equivalenza, orientati a recuperare la perdita del potere di acquisto delle famiglie;
e) prevedere adeguate forme di collegamento tra l’accesso all’assegno per la famiglia, da parte di nuclei familiari con figli minori, e la garanzia di ottemperanza alle disposizioni vigenti in materia di obbligo scolastico e lavoro minorile;
f) prevedere che a ciascun nuovo nato sia riconosciuta la titolarità di un Conto personale del neonato, di seguito denominato «Conto», istituito presso l’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) e finalizzato al sostegno economico per la cura, l’assistenza e la formazione del nuovo nato, nonché alla promozione della sua autonomia;
g) prevedere che il Conto possa essere alimentato, fino al compimento del venticinquesimo anno di età del titolare, attraverso le seguenti fonti di finanziamento segnalate con distinta evidenza contabile in sede di emissione dell’estratto conto:
1) l’accreditamento degli assegni familiari e degli altri contributi pubblici riconosciuti alla famiglia a titolo di sostegno al reddito, in relazione alle esigenze di cura, assistenza e formazione del minore titolare del Conto;
2) l’accreditamento di borse o assegni di studio riconosciuti al titolare del Conto da istituzioni pubbliche e private, nonché dei contributi pubblici a vario titolo erogati per la tutela del diritto allo studio;
3) i versamenti, occasionali o periodici, da parte di familiari, tutori o affidatari, nonché di altri soggetti privati a tal fine espressamente autorizzati dagli esercenti la potestà sul minore;
4) la contribuzione statale o regionale integrativa, in relazione a particolari condizioni sociali ed economiche del titolare del Conto, ovvero per specifiche finalità di impiego del contributo;
5) l’accreditamento degli importi erogati dallo Stato a titolo di prestito a condizioni agevolate, rimborsabile con rateazione a lungo termine, per specifiche finalità di istruzione o formazione professionale del titolare del Conto;
h) prevedere che agli importi versati sul Conto si applichi un tasso annuo di rivalutazione, come annualmente individuato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia, almeno pari al rendimento annuo dei titoli di credito a medio-lungo termine emessi dal Tesoro;
i) prevedere che possano avere accesso al Conto:
1) fino al raggiungimento della maggiore età del titolare, i genitori, tutori o affidatari del minore: in tal caso i prelievi eccedenti la quota di risorse derivante da contribuzione pubblica sono condizionati a documentate esigenze di concorso alle spese di sostentamento, cura, assistenza, istruzione e formazione del titolare del Conto;
2) il titolare del Conto, a decorrere dal raggiungimento della maggiore età e fino al venticinquesimo anno di età, per documentate esigenze di istruzione o formazione professionale, ovvero per l’avvio di attività professionali e imprenditoriali.
Art. 12.
(Nuove norme in materia di asili-nido)
1. A decorrere dall’anno 2005, le spese di partecipazione, sostenute dai genitori, alla gestione dei micro-nidi e degli asili nido territoriali, sono deducibili dal reddito complessivo ai fini dell’imposta sui redditi delle persone fisiche, per un importo non superiore ai 2.000 euro per ogni figlio che fruisce delle medesime strutture.
2. Al fine di promuovere e sostenere la realizzazione su tutto il territorio nazionale di almeno 3.000 nuovi asili nido entro l’anno 2007, è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito Fondo nazionale per gli asili nido, di seguito denominato «Fondo», finalizzato al cofinanziamento degli investimenti promossi dalle amministrazioni locali per la costruzione ovvero la riqualificazione di strutture destinate ad asili nido.
3. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all’articolo 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono disciplinate le modalità di accesso al fondo.
4. Ai fini del finanziamento del Fondo è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2004 e di 100 milioni di euro in ragione d’anno per gli anni 2005, 2006 e 2007.
Art. 13.
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui ai Capi I, II e III della presente legge si provvede, fino a concorrenza degli importi, mediante le maggiori entrate derivanti dall’applicazione delle seguenti disposizioni:
a) l’articolo 13 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, è abrogato;
b) a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le aliquote di base di cui all’articolo 5 della legge 7 marzo 1985, n. 76, per il calcolo dell’imposta di consumo sui tabacchi lavorati destinati alla vendita al pubblico nel territorio soggetto a monopolio, sono uniformemente incrementate del 50 per cento;
c) a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite nella misura del 19 per cento le aliquote, che risultino inferiori a tale misura, relative ai redditi di capitale di cui alle seguenti disposizioni:
1) articoli 26, 26-ter e 27 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni;
2) articolo 1 del decreto-legge 2 ottobre 1981, n. 546, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º dicembre 1981, n. 692, e successive modificazioni;
3) articolo 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77, e successive modificazioni;
4) articoli 5 e 11-bis del decreto-legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649, e successive modificazioni;
5) articolo 14 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84, e successive modificazioni;
6) articolo 2 del decreto legislativo 1º aprile 1996, n. 239, e successive modificazioni;
7) articoli 5 e 7 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461.
Capo IV
NORME PER L’ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 51 DELLA COSTITUZIONE, IN MATERIA DI PARI OPPORTUNITÀ NELL’ACCESSO AGLI UFFICI PUBBLICI E ALLE CARICHE ELETTIVE
Art. 14.
(Nuove norme in materia di composizione delle liste per le elezioni politiche e per il Parlamento europeo)
1. In attuazione dell’articolo 51 della Costituzione, il presente Capo detta le misure necessarie per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive.
Art. 15.
(Elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica)
1. Al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 18, dopo il comma 6, è aggiunto il seguente:
«6-bis. Nell’insieme dei collegi uninominali per le candidature contraddistinte da un medesimo contrassegno nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale dei candidati; in caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento all’unità prossima»;
b) all’articolo 18-bis, dopo il comma 2, sono aggiunti i seguenti:
«2-bis. Nell’insieme delle liste aventi un medesimo contrassegno, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati. Ai fini del computo sono escluse le candidature plurime. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento all’unità prossima.
2-ter. Le liste sono formate elencando in ordine alternato candidati di sesso diverso, a partire dalla candidatura capolista».
2. All’articolo 9 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, dopo il comma 1, è inserito il seguente:
«1-bis. In ogni gruppo nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento all’unità prossima.».
Art. 16.
(Elezione del Consiglio comunale)
1. All’articolo 71 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dopo il comma 3, è inserito il seguente:
«3-bis. In ogni lista, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento all’unità prossima. Le liste sono formate elencando in ordine alternato candidati di sesso diverso, a partire dalla candidatura capolista.».
2. All’articolo 73 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. In ogni lista, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento all’unità prossima. Le liste sono formate elencando in ordine alternato candidati di sesso diverso, a partire dalla candidatura capolista».
Art. 17.
(Elezione del Consiglio provinciale)
1. All’articolo 75 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dopo il comma 2, è inserito il seguente:
«2-bis. In ogni gruppo, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento all’unità prossima.».
Art. 18.
(Inammissibilità delle liste e preclusione
all’accesso al rimborso elettorale)
1. Le liste o le candidature non conformi alle prescrizioni di cui agli articoli 15, 16 e 17 della presente legge in materia di rappresentanza obbligatoria dei sessi nelle liste elettorali sono comunque inammissibili.
2. La mancata ottemperanza all’obbligo di alternanza tra candidati di sesso diverso, a partire dalla candidatura capolista, è sanzionata con la preclusione all’accesso ai rimborsi elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157.
Art. 19.
(Misure premiali per i partiti o movimenti politici che sostengono le candidature femminili nelle elezioni politiche, regionali ed europee)
1. L’articolo 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157, è sostituito dal seguente:
«Art. 3. - (Risorse finanziarie per accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica). – 1. Al fine di incentivare e sostenere la partecipazione delle donne agli organi di rappresentanza, una quota pari al 20 per cento dei fondi complessivamente destinati alle spese elettorali per il rinnovo di ciascuno degli organi di cui all’articolo 1, comma 1, è riservata ai partiti o movimenti politici che, nelle relative consultazioni elettorali, abbiano almeno il 30 per cento di donne tra i rispettivi candidati eletti.
2. La quota di cui al comma 1 è ripartita secondo i criteri di cui agli articoli 9 e 16 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, e successive modificazioni.
3. In caso di mancata attribuzione della quota di cui al comma 1, le relative risorse finanziarie sono destinate alle finalità di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125, recante azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna.
4. Ogni partito o movimento politico destina una quota pari almeno al 10 per cento dei rimborsi ricevuti per ciascuno dei fondi di cui ai commi 1 e 5 dell’articolo 1 ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica.
5. I movimenti ed i partiti politici di cui al comma 4, attraverso un apposito capitolo all’interno del rendiconto di cui all’articolo 8 della legge 2 gennaio 1997, n. 2, e successive modificazioni, danno conto in forma dettagliata di della tipologia, dell’estensione e del costo di ciascuna iniziativa realizzata per le finalità di cui al comma 4».
Art. 20.
(Misure premiali per i partiti o movimenti politici che sostengono le candidature femminili nelle elezioni provinciali e comunali)
1. Al fine di incentivare e sostenere la partecipazione delle donne agli organi di rappresentanza, una quota pari al 15 per cento del fondo previsto dalla legge 10 aprile 1991, n. 125, è riservata ai partiti e movimenti politici, liste o gruppi di candidati che nelle consultazioni elettorali provinciali e comunali abbiano riportato almeno il 30 per cento di donne tra i rispettivi candidati eletti, a titolo di contributo totale o parziale delle spese sostenute per la campagna elettorale.
2. Con decreto del Ministro per le pari opportunità, adottato entro il 31 marzo, sono annualmente determinati i criteri di determinazione degli importi e le modalità di accesso ai contributi di cui al presente articolo, con riferimento alle consultazioni elettorali svolte nell’anno solare precedente.
Art. 21.
(Nuove norme a tutela della rappresentanza equilibrata di donne e uomini nelle giunte e negli organi collegiali degli enti locali)
1. All’articolo 6 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il comma 3 è sostituito dai seguenti:
«3. In attuazione dell’articolo 51 della Costituzione, gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonchè degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
3-bis. Per le finalità di cui al comma 3, gli statuti comunali e provinciali prevedono modalità di nomina dei componenti della Giunta idonee a garantire l’equilibrata rappresentanza di entrambi i sessi. A tal fine, gli statuti devono prevedere che al sesso meno rappresentato nel Consiglio comunale o provinciale sia riservata una quota percentuale di assessori non inferiore alla rappresentanza percentuale dello stesso sesso nel Consiglio»