“Ho fatto di tutto/ per entrare intero/in ogni cosa…”

stra - LA 
 VITA E' UNA STRADA SCONNESSA

Attraverso la metafora della vita che dà il titolo alla raccolta poetica “La strada sconnessa”, Passigli, 2011, il poeta Dante Maffia ci conduce attraverso un viaggio esistenziale talvolta confuso, talvoltalucido. Doloroso. Si tratta di un percorso accidentato – di una strada lunga polverosa – durante il quale il poeta, impregnato di ricordi, rievoca alcune figure importanti che hanno svolto il ruolo di maestri, altre che lo hanno semplicemente accompagnato, dividendo con lui il tempo e lo spazio; rivive contraddizioni, perdite, momenti felici (quello di una gita al mare o dell’ammirazione per un baudelairiano gatto, per esempio) e momenti dolorosi.
Tra le figure mitiche e formative spiccano quella di Federico II al cui fascino nessuno nato in Calabria può sfuggire, uomo vissuto senza compromessi, anzi che esiste senza fine e quella di Emily Dickinson, ombra con la quale Maffia ha tessuto colloqui, maestra di dolore, di fatalità delle sillabe, insomma modello di poesia.
Una presenza consistente è quella femminile: dalla madre alle figlie (Le sibille) e alla moglie, tenerezza e gratitudine colmano il cuore di Maffia.
A completare una vita pienamente vissuta non possono mancare l’amore – la sostanza dell’amore – come già detto, ma neppure i coltelli del desiderio, inteso come energia vitale e il senso della morte non lontana.
Vorrei soffermarmi sulla poesia intitolata Il labirinto:

Ora che quasi spento m’avvicino
alla fine dei giorni e il mio calvario
sta per chiudersi, vengo a sapere
che sono io il labirinto e che dentro di me
le strade si sono intersecate e confuse
fino alla limpidezza del tramonto.
Se l’avessi saputo in giovinezza,
avrei rinunciato ad ogni cosa
per godermi gli spazi. Adesso è tardi, mi piego
ad ogni svolta, a ogni passaggio,
cerco la via più breve, m’abbandono
alla luce che prima o poi s’avvamperà
del nonsenso, in me, che sono stato
perdita perenne di me stesso e del mondo.

E ancora:

(…)
Il sonno arriva quando non c’è spazio
per le piume egli insetti. Origlia al lume
dell’infanzia e una cesta di frutta
manda odori e note già da tempo
ammuffite nel labirinto del tuo cuore.
Muore chi riconosce l’alfabeto.

Guai se la vita, che non ammette scorciatoie, non fosse il disperdersi di se stessi, eterno offrirsi all’esperienza e svuotarsi, se non fosse pure continuo riempirsi di emozioni: tempo di bilanci per Maffia, alla fine dei giorni, di scoperte. Il labirinto è dentro di noi, complicato e difficile da percorrere, lo insegnano Pessoa (Perso/nel labirinto di me stesso, già/non so quale strada mi conduce/da esso alla realtà umana e chiara…) e Borges: “Ossessivamente sogno di un labirinto piccolo, pulito, al cui centro c’è un’anfora che ho quasi toccato con le mani, che ho visto con i miei occhi, ma le strade erano così contorte, così confuse, che una cosa mi apparve chiara: sarei morto prima di arrivarci”. Il labirinto è un incrocio di cammini attraverso i quali si tratta di scoprire la strada che porta al sé, sacro e prezioso. Il labirinto deve contemporaneamente permettere l’accesso al centro attraverso una specie di viaggio iniziatico e proibirlo a quelli che non sono qualificati. La trasformazione del sé che si opera al centro, morte e resurrezione spirituale, segnerà la vittoria dello spirituale sul materiale, dell’eterno sul deperibile, dell’intelligenza sull’istinto, del sapere sulla cieca violenza.
Tante le ricorrenze ossessive: l’amore per la natura; la nostalgia dolente dell’infanzia; lo spleen; la metafora del guardarsi attorno; del cigno (fino a quando/ non mi vidi riflesso in uno stagno/in cui galleggiavano i cigni), anch’esso di rimembranza baudelairiana, il cui biancore, potenza e grazia ne fanno una vivida epifania della luce, del rospo (Ma poi/rastrellano i rospi…) simbolo regale; delle radici rappresentate dalla terra natia – la Calabria, sempre in sottofondo; la parola , grido, gridi e il verbo gridare. Il poeta desidera con forza essere ascoltato, comunicare e condividere i propri sentimenti: urla e il grido ha qualche cosa di paralizzante, di protesta contro il destino.

Fausta Genziana Le Piane

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