Khalida  Mesaoudi

 

politica e femminista

Cabilia (Algeria)

Khalida Messaoudi, algerina, da sempre si batte per la democrazia, per uno stato laico e per i diritti femminili in un paese dove il fondamentalismo islamico tenta ancora oggi, a guerra civile terminata, di annientarne i valori.
Nata nel 1958 in Cabilia - e quindi appartenente alla minoranza berbera (1) - da genitori di antiche tradizioni ma aperti sul piano religioso, cresce nutrita a un tempo della fierezza autonomista  e del rispetto per l'eredità culturale dell'Occidente. Parla indifferentemente arabo e francese, si laurea in matematica e si prepara a un avvenire di insegnante in una terra ancora piena di speranze di modernizzazione e libertà. Assisterà invece al prevalere di un'idea di stato islamico sempre più radicale che nega l'uso del francese parlato da milioni di persone a favore di una lingua artificiale (l'arabo classico), stravolge l'educazione della storia e delle scienze,  annienta i diritti delle donne legittimandone l'inferiorità con un nuovo "Codice della famiglia".
Proprio per combattere contro l'approvazione del nuovo "Codice della famiglia" Khalida entra nella lotta politica nei primi anni Ottanta. “E’ il codice dell’infamia”, ella afferma nel libro Una donna in piedi (1995) scritto insieme a Elisabeth Schemla, “perché rende le donne eterne minori nel campo dell’istruzione, del lavoro, del matrimonio e dell’eredità”.
Nel 1985 fonda con altre militanti la prima Associazione di donne algerine per l’uguaglianza tra l’uomo e la donna davanti alla legge. Quando, nel 1990, il governo FLN di Mouluod Hanrouche legifera che il marito può votare al posto della o delle mogli, Khalida organizza una vasta mobilitazione contro questa legge che viola i diritti fondamentali della persona. Ella diventa così un faro per tutte le donne e gli uomini algerini che credono nella democrazia.
Ma nel 1993 la vita della Messaoudi cambia radicalmente. Dopo ripetute minacce  inviate per telefono dal Fronte islamico di Salvezza (Fis), per iscritto e persino attraverso gli altoparlanti di alcune moschee, giunge la condanna a morte ed ella inizia nel suo stesso paese una vita di semiclandestinità e di paura.  Ricordando quegli anni terribili della persecuzione, Khalida distingue tre fasi. La fase del 1992 e inizio ‘93: le telefonate a casa in piena notte in cui gridavano, dopo ogni manifestazione delle donne, “Creperete tutti”. La seconda fase: gli echi ‘lancinanti’ degli imam attraverso gli altoparlanti, che la bollavano “Donna dai costumi dissoluti”, “Pericolo per la morale e per le donne”, terminando sempre con: “La rinnegata, la sorella di Satana deve morire”. La terza fase, 12 giugno 1993: nella cassetta della posta a casa dei genitori un ciclostile con la condanna a morte. E Giugno 1994: Khalida capeggia una manifestazione, scoppia una bomba, due morti e 70 feriti. Ella per puro caso riporta solo schegge nella gamba.
Costretta a lasciare l'insegnamento nel Liceo femminile di Algeri, lontana dal suo giovane marito da cui ben presto dovrà divorziare, Khalida, anche da fuggiasca, non rinuncia mai alla speranza e alla lotta. In piena "guerra civile", quella guerra feroce che dal 1995 al 1997 ammazza 70.000 algerini ed algerine, ella riesce ad organizzare un grande movimento di donne, l'Associazione R.A.C.H.D.A. (Rassemblement contre la hogra et pour les droits des algériennes), che con manifestazioni pubbliche e incontri clandestini diventa una reale forza di opposizione nel panorama politico generale.

Comprendendo l'importanza del coinvolgimento dell'Europa per porre termine al terrore che il governo non può o non vuole combattere, Khalida, ogni qualvolta ottiene il visto, gira instancabile per i paesi europei, fermandosi  soprattutto in Italia e in Francia, per far conoscere il calvario delle donne algerine prese di mira dal fanatismo degli uomini del FIS, per mobilitare l’opinione pubblica e per ottenere sostegno alla formazione in Algeria di uno Stato democratico, separato dalla religione e promotore dei diritti delle donne. Il sostegno della famiglia non viene a mancare mai. Quando le domandano come fa a mantenersi in clandestinità, Khalida risponde con semplicità: "Mio padre e quelli  tra i miei  sette fratelli e sorelle che ne hanno la possibilità fanno ogni mese una colletta per darmi  l’equivalente del mio stipendio di ex-insegnante di matematica".
Chi, come la sottoscritta, ha avuto la gioia e l'onore di invitarla in Italia e di ascoltarla più volte, ha un ricordo indelebile della sua voce forte, commossa e autorevole, del suo bel viso reso stupendo dai corti capelli rossi e dal fuoco dei ricordi delle ingiustizie viste e subite; ma soprattutto, non so perché, rivedo spesso dentro di me il movimento delle sue mani - ora avvolgente, ora repellente, ora opponente - che sapeva ricreare davanti ai nostri occhi sospesi scene di disperazione e di coraggio inauditi. Mi sembrava in quei momenti che somigliasse davvero, come dicevano i suoi genitori  quando era bambina, alla leggendaria Kahina, la fiera regina giudeo-berbera, una rossa dalla pelle bianca, che nell’VIII secolo resistette all’invasore arabo alla testa del suo esercito.
Con le elezioni che si sono tenute nel 1997, che hanno visto vincitore Zeroual,
Khalida Messaoudi è stata eletta deputata sui banchi dell'opposizione. Nello stesso anno è stata eletta Vicepresidente del Movimento per la Repubblica diretto da Said Sadi (Mpr) e del Gruppo parlamentare del Partito di opposizione Rassemblement pour la Culture e la Démocratie (Rcd).
Sul muro della mia stanza campeggia ancora oggi, 16 agosto 2002, un suo regalo, un manifesto dell'Associazione RACHDA, che porta la data dell'8 marzo 1999 e che Khalida firmò di suo pugno con questo motto: "DONNE, NON FARANNO NIENTE SENZA DI NOI!".

1) I Berberi sono una popolazione autoctona dell'Africa settentrionale. Non hanno mai dato vita a stati nazionali pur contribuendo alla vita politica dei territori. Hanno avuto sempre rapporti ambivalenti con gli invasori: accettazione dell’ordine statuale, usi, lingua dell’invasore; ribellione quando il vincolo diventava troppo pesante o ingiusto. Con l’invasione araba i Berberi si convertirono alla fede musulmana, pur preferendo i gruppi religiosi dell’opposizione. In Algeria il gruppo berbero si stabilisce in Cabilia, di qui cabili, con cui si designa le tribù islamizzate.

QUINDICI PENSIERI DI KHALIDA MESSAOUDI

1.   Dedico il libro “Una donna in piedi” a tutte le donne violentate o assassinate dai gruppi armati del FIS. Agli intellettuali, ai bambini, agli artisti, ai giornalisti e a tutte le vittime della barbarie integralista. A tutti i militanti e le militanti che salvano l’onore dell’Algeria.

2.  Come mi mantengo da quando sono ricercata dagli integralisti? Mio padre e quelli  tra i miei  sette fratelli e sorelle che ne hanno la possibilità fanno ogni mese una colletta per darmi  l’equivalente del mio stipendio di ex-insegnante di matematica.

3.   Per dare scacco alla morte bisogna innanzi tutto non uccidere se stessi, in nessun modo. Per non uccidere se stessi ci sono due trappole da evitare: quella della vergogna e quella dell’odio.

4.   A diciassette anni, ho cominciato a sentirmi turbata dalla posizione dei fedeli nella preghiera musulmana. Prostrarsi a quel modo, con la testa a terra...lo trovavo umiliante. Mi sono messa a cercare nel Corano a quali direttive corrispondesse: nessuna. Mi sono detta “Io ho una grande e bella idea di Dio. Non vedo perché dovrei sminuirla adottando questa posizione da schiava”. E ho deciso di dire la preghiera in maniera diversa. Sono una musulmana laica.

5.  Da quando a 21 anni ho preso le distanze dai comunisti, mi sono rifiutata di subordinare la questione delle donne a un partito. E adesso più che mai. In me la dimensione “donna” alla ricerca di una repubblica paritaria e laica prevale su tutte le altre componenti della mia identità. Sono donna prima di essere algerina, berbera, mediterranea, musulmana, combattente.

6.   Faccio parte di una particolare generazione di algerini. Sono a mezza strada tra i vecchi dell’FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) che hanno sfruttato l’Algeria per quasi 35 anni, che l’hanno snaturata, e i giovani praticamente analfabeti, senza né lavoro né casa, che subiscono il fascino dell’integralismo.

7.   Le donne a cui faccio riferimento sono: mia nonna; la mia professoressa di matematica Fanny Claire Kechich, incarnazione della donna moderna, competente; Lalla Yamina, una donna degli inizi del ’900 che si ribellò alla famiglia e rifiutò di sposarsi, alla quale è stato ricosciuto lo statuto di santa; e la leggendaria Kahina, una regina giudeo-berbera dell’Aurès, una rossa dalla pelle bianca del paese shawia, che nell’VIII secolo resistette all’invasore arabo alla testa del suo esercito. Un mito vivente. Se una ragazza è coraggiosa, le dicono “Sei una Kahina!”

8.   Il Codice di famiglia è entrato in vigore il 9 giugno 1984. Nel Codice l’unico ruolo assegnato alla donna è quello di genitrice finalizzata a riprodurre il nome e il benessere del marito. Sul diritto all’istruzione e al lavoro il Codice non si pronunzia, per cui l’uomo può costringere la moglie a non lavorare e la figlia a non andare a scuola (art.39). La donna non può scegliere il proprio marito, a suo nome lo fa il tutore matrimoniale, un uomo (art.11). Dopo sposata, ella vive sotto la doppia spada di Damocle della poligamia maschile - un privilegio vergognoso sancito dall’art. 8 - e di una sorta di divorzio molto simile al ripudio concesso nei fatti solo al marito. Questo codice dell’infamia produce ogni anno un fenomeno tragico: migliaia di madri che si trascinano nelle strade con i loro bambini senza che lo Stato muova un dito.

9. Come hanno lottato gli uomini contro il Codice di famiglia? Non farmi ridere! Tranne rare eccezioni, non ce n’era uno solo in piazza. Gli uomini sono i grandi assenti dalla nostra lotta. Ciò ha rafforzato la mia convinzione che le donne algerine devono cavarsela da sole.

10. Faccio parte del Movimento per la cultura e la democrazia (R.C.D.) creato da Said Sadi nel 1989, i cui punti programmatici sono: a. Separazione del civile dal religioso; b. Laicismo; c. Diritti uguali per uomini e donne di tutte le etnie e religioni; d. Stato di diritto; e.  Abrogazione del Codice di famiglia; f. Riconoscimento della dimensione berbera dell’Algeria; g.  Giustizia sociale; h. Riforma dell’educazione.

11. Gli integralisti, come ogni movimento totalitario, vogliono avere una presa di possesso sulla società, e hanno perfettamente capito che ciò passa in primo luogo attraverso il controllo della sessualità femminile, che agevola il patriarcato mediterraneo. Inoltre, come tutti i purificatori, odiano e perseguitano la diversità, compagna inseparabile della democrazia. E le donne rappresentano di volta in volta il turbamento, il desiderio, il mistero, la seduzione e anche la diversità, che è immediatamente visibile sul loro corpo. Ecco perché gli islamisti tengono tanto a nascondere la donna, a velarla, a far scomparire la differenza nei suoi segni esterni.

12. Il 29 giugno 1992 il presidente algerino Mohammed Boudiaf viene ucciso. Gli assassini di Boudiaf, un democratico pacifista che sperava che l’Algeria giungesse a definirsi non pro o contro l’Arabia o l’Occidente, ma accanto ad essi, sono tuttora al potere. Finchè i responsabili della morte di Boudiaf dirigeranno il paese, la resistenza rimane l’unica via d’uscita.

13. Mi colpisce sempre la difficoltà che provano i nostri uomini nel dire “Ti amo”, semplicemente. Anche i più libertari manifestano una reale sofferenza a parlare di tenerezza e di amore.

14. Il vicolo cieco in cui ci troviamo oggi è dovuto al fatto che gli algerini, incastrati tra due ultimatum, si rifiutano di decidere. All’estero si fatica a capire. Non si tratta né di silenzio né di paralisi, bensì della prova di una grande lucidità e saggezza che fino a oggi ha permesso di evitare la somalizzazione, la libanizzazione e la jugoslavizzazione del dramma algerino.

15. L’integralismo, come il razzismo, non è un’opinione, è un delitto.

(Maria Antonietta Pappalardo)

Fonti
Messaoudi Khalida e Schemla Elisabeth, Una donna in piedi, Mondadori, Milano, 1996
Pia Ranzato, Video dal titolo  Donne d’Algeri: la voglia di vivere, il coraggio di resistere, prodotto nel 1998 di nascosto grazie ad un visto turistico ottenuto dalla regista-fotografa.