L’AMORE
È IL PIÚ URGENTE DEI BISOGNI
di Cristiana Bullita
C’è
una piccola ma significativa circostanza nella vicenda del sequestro
dei 51 studenti della scuola media di San Donato Milanese del
20 marzo scorso. Un piccolo fatto che alcuni media hanno relegato
a un trafiletto necessariamente inessenziale, dovendo trattare
aspetti ben più rilevanti di un terribile evento che non è diventato
tragedia solo grazie al senso di responsabilità e al coraggio
di molti, a partire dagli operatori dell’emergenza fino alle
vittime stesse: docenti, collaboratrice e studenti.
In 50 minuti di puro terrore, un impercettibile atto imprevisto
ha avuto la forza dirompente e inaudita di un bucaneve che trapassa
la banchisa polare. È accaduto quando lo strepito della folla
terrorizzata di ragazzini che scappavano precipitosamente dallo
scuolabus già dato alle fiamme è stato improvvisamente attraversato
da una detonazione secca: “Ti amo, io ti amo!”.

La
gerarchizzazione dei bisogni di Maslow è fallace. Non è vero
che i bisogni di sicurezza sono prioritari rispetto a quelli
di appartenenza. Quel ragazzino ce lo ha urlato addosso insieme
al suo amore disperato. Correva, sì. Cercava di mettersi in
salvo. Ma lo faceva insieme a qualcun altro. Qualcuno che doveva
assolutamente sapere come stavano le cose, perché in quel momento
tutto era terribilmente incerto. Qualcuno che doveva conoscerlo,
quell’amore, forse esploso per la prima volta da viscere urenti,
come lava e cenere da un vulcano. Perché c’era il panico, e
tutti scappavano, e piangevano, e invocavano la mamma, e avevano
nelle narici gli aromi temibili e suadenti del benzene.
La distinzione di Maslow non spiega il fatto che, quando i bisogni
più bassi non vengono soddisfatti, un bisogno più alto può diventare
il più urgente di tutti.
Viktor Frankl, neurologo e psichiatra austriaco, che frequentò,
da prigioniero, diversi lager nazisti, era convinto che
«in
linea di principio, ogni uomo, anche se condizionato da gravissime
circostanze esterne, può in qualche modo decidere cosa sarà
di lui»
e
restare uomo, conservando intatta la dignità. Ci fu chi nei
lager scelse di rinunciare alla propria razione di brodaglia
per ascoltare qualche verso di poesia, per un paio di canzoni
storpiate dai compagni internati, per un brandello di “arte”
dilettante e disperata. Ci fu chi cedette il proprio pezzo di
pane duro -unico sostentamento dopo una giornata di lavoro ininterrotto
a 20 gradi sotto lo zero- per farsi radere il viso e riscoprire
nel riflesso di un pezzo di lamiera antiche sembianze umane.
Ci
si può sottrarre alla tirannia dei bisogni primari autodeterminandosi
in ragione di fini più elevati. È quanto sostiene Kant, per
il quale l’uomo fa parte del mondo della sensibilità, e intanto
lo subordina a sé. Noi, infatti, appartenendo anche al piano
noumenico, sovrasensibile, intelligibile della morale, risultiamo
liberi e indipendenti nei confronti dell’intera natura. Siamo
cioè ambivalenti: da un lato siamo sottomessi all’ordine causale
dei fenomeni, dall’altro partecipiamo al mondo dei fini grazie
alla nostra volontà, che ci sottrae alla tirannia di un determinismo
bestiale.
«Tu
potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; tu
potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori
che sono divine».
(Pico della Mirandola, De hominis dignitate)
Quello
sconosciuto alunno innamorato che, mentre cercava di sfuggire
ad una morte orribile, sentiva il pressante bisogno di dichiararsi,
ce lo attesta inconfutabilmente. A lui e a quelli come lui affidiamo
il compito di ricordarci che l’ultima parola, su di noi, spetta
solo a noi stessi.
|