Francesca
Santucci
SIBILLA
ALERAMO
(1876-1960)

…Mi
portò a casa un grosso fascicolo di carta bianca, che
guardai sentendo il rossore salirmi alla fronte. Fino a quel
punto poteva giungere l’incoscienza? Ma qualche giorno
dopo, mentre il bambino era dalle mie sorelle nel tiepido pomeriggio
autunnale, io mi trovai colla penna sospesa in cima alla prima
pagina del quaderno. Oh dire, dire a qualcuno il mio dolore,
la mia miseria; dirlo a me stessa, anzi, solo a me stessa, in
una forma nuova, decisa, che mi rivelasse qualche angolo ancora
oscuro del mio destino!
E scrissi, per un’ora, per due, non so. Le parole fluivano,
gravi, quasi solenni: si delineava il mio momento psicologico;
chiedevo al dolore se poteva divenire fecondo; affermavo di
ascoltare strani fermenti del mio intelletto come un presagio
di una lontana fioritura…
(Sibilla
Aleramo, Una donna)
Un
flusso irrefrenabile di vita. E di volontà di resistenza
continua, continua…
Intensa
e densa di avvenimenti fu la vita di Rina Faccio, in arte Sibilla
Aleramo; nacque il 14 agosto del 1876 ad Alessandria, ma trascorse
la fanciullezza a Milano e l’adolescenza a Porto Civitanova
Marche, un borgo marchigiano.
Dai 12 ai 15 anni lavorò come contabile nella fabbrica
del padre, un uomo fortemente anticonformista, al quale fu molto
legata, ma quando la madre, soggetta a crisi depressive, tentò
il suicidio, fu costretta a sostituirla nel governo della casa
e a gravarsi di ogni responsabilità domestica, riuscendo
sempre, però, a scrivere racconti e articoli giornalistici.
Nel 1892, a 16 anni, fu violentata da un impiegato della fabbrica
paterna e costretta a sposarlo; dopo un aborto, dall’unione
col seduttore nacque il figlio Walter.
Infelici furono gli anni del suo matrimonio, continuamente vessata
dal marito che la sospettava di tradimento, finché nel
1896 tentò il suicidio. Ripresasi, nonostante le oppressioni
del coniuge, intensificò l’attività letteraria,
scrivendo articoli di costume, sociologici ed inerenti la questione
femminile, ed iniziando la stesura del suo primo romanzo, l’autobiografia
“Una donna”, testimonianza esemplare della condizione
femminile, uno dei primi libri femministi apparsi in Italia,
che uscì nel 1906 e riscosse subito un grande successo,
al quale poi seguirono altre opere in prosa come “Il passaggio“,“Andando
e stando“,“Amo, dunque sono“, “Il frustino“,“Gioie
d’occasione“,“Orsa minore“,“Dal
mio diario“,“Il mondo è adolescente“,“Gioie
d’occasioni e altre ancora“.
Notevoli anche le sue raccolte di liriche, come “Momenti“,
“Poesie“, “Sì alla Terra“, “Selva
d’amore“, “Aiutatemi a dire“, “Luci
della mia sera“, fortemente autobiografiche e d’amore,
giacché Sibilla, in poesia inserita nella tradizione
ottocentesca, antiletteraria, romantica ma non languida, attinse
all'angoscia individuale.
Nel 1902 abbandonò il marito ed il figlio (che rivide
solo dopo trent’anni, nonostante avesse a lungo lottato
per ottenerne la custodia) e si trasferì a Roma, avviando,
così, la ricostruzione della sua vita, dedicandosi appassionatamente
ad un’intensa produzione letteraria, in poesia ed in prosa,
e alle Scuole dell’Agro Romano per gli analfabeti, fondate
insieme a Giovanni Cena, approdando all’antifascismo e
al comunismo.
Bella, intelligente, libera da schemi e pregiudizi, desiderata
dagli uomini, Sibilla Aleramo ebbe molte ed intense storie d’amore.
L'amore fu la ragione della mia esistenza e quella del mondo:
come lei stessa scrisse, fondamentale nella sua vita fu questo
sentimento, e tutte le sue storie, con Cena, Papini, Cardarelli,
Boccioni, Cascella, Boine, Campana, Papini, Quasimodo, Matacotta,
furono romantiche ed intense.
Una
grande ma lacerante passione, di cui resta traccia nell’epistolario,
la legò, quando lei aveva 40 anni, ed era già
famosa per il successo del romanzo “Una donna“,
al poeta dei “Canti orfici”, Dino Campana, di nove
anni più giovane, il poeta maudit, uomo difficile,
scontroso, anticonformista, che, negli anni della propaganda
interventista, cercava nella natura i valori dell’esistenza
e che poi, afflitto da gravi disturbi psichici, venne internato
in manicomio.
Chiudo
il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…
con la tua vita intera
sei nei miei canti
come un addio a me.
Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,
liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.
Or nei tuoi canti
la tua vita intera
è come un addio a me.
Cuor selvaggio,
musico cuore,
chiudo il tuo libro,
le mie trecce snodo.1
(Sibilla
Aleramo a Dino Campana, Mugello, 25-7-1916)
In
un momento
sono sfiorite le rose
I petali caduti
perché io non potevo dimenticare le rose
le cercavamo insieme
abbiamo trovato delle rose
erano le sue rose erano le mie rose
questo viaggio chiamavamo amore
col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
che brillavano un momento al sole del mattino
le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
le rose che non erano le nostre rose
le mie rose le sue rose.2
(Dino
Campana a Sibilla Aleramo, 1917)
E’
tutta compresa fra queste due poesie, presenti nel tumultuoso
carteggio, la loro intensa, appassionata, difficile storia d’amore
e di tormento, intrecciata alla follia, vissuta senza risparmio
di emozioni, dal 1916 al 1918, fra gioie e dolori, botte ed
insulti, separazioni e riappacificazioni.
Dino Campana era nato a Marradi, presso Faenza, il 20 agosto
del 1885, da una famiglia d'estrazione piccolo borghese. Dopo
il liceo, terminato faticosamente, si era iscritto alla facoltà
di chimica dell’Università di Bologna, ma, come
più tardi dichiarò, non comprese mai nulla dell’astruso
formulario scientifico.
E fu proprio a Bologna che uno psichiatra, per i sintomi palesati,
definiti “nevrastenia” dallo stesso poeta, gli diagnosticò
una forma psichica a base di esaltazione, per la quale
prescriveva riposo intellettuale, isolamento affettivo e morale
e l’uso di bromuro, e che il poeta venne ripetutamente
internato in manicomio.
Manifestazione del suo disagio era soprattutto l’irrequietezza,
che lo portava spesso a viaggiare come un nomade, incapace di
collocarsi in un luogo preciso e di relazionarsi socialmente
in modo stabile; per questo fu in Argentina, in Ucraina, e poi
girovago per l’Italia, esercitando i mestieri più
disparati, come il pianista, il poliziotto, il pompiere, il
fabbro, l’operaio, economicamente sostenuto anche dalla
famiglia.
La sua attività poetica iniziò nel 1912, con una
pubblicazione sul “Papiro”,3 ma è del 1913
l’episodio inquietante dello smarrimento del manoscritto
dei suoi “Canti orfici”, affidato a Papini e Soffici,
che Campana, dopo un momento iniziale di rabbia feroce, riscrisse
a memoria e pubblicò a proprie spese nel 1914.
Nell’estate del 1914 esplose la passione per Sibilla Aleramo,
trasformatasi poi da un viaggio chiamato amore in vero
e proprio calvario.
Quando conobbe Dino, Sibilla, socialmente impegnata e già
famosa per aver pubblicato il romanzo autobiografico “Una
donna”, in cui definiva oppressiva e frustrante l’istituzione
matrimoniale, era considerata la donna più bella d’Italia.
Ammirata e corteggiata, libera, ardimentosa e lontana dalle
convenzioni, spesso era lei a prendere l’iniziativa con
gli uomini dai quali era attratta, in perenne bisogno d’amore,
derivatole, per sua stessa ammissione, in parte da mia madre
e in parte dalla perpetua nostalgia di mio figlio, forse
innamorata dell’idea stessa dell’amore, aveva avuto
già molte storie con letterati ed intellettuali.
La prima volta che le scrisse, attratto dalla donna, e lusingato
dal fatto che una scrittrice famosa s’interessasse a lui,
un solitario e squattrinato dalla vita simile a quella d’un
barbone, e che fino ad allora aveva avuto solo la compagnia
di donne di malaffare, Dino le disse:
Non mi parli del suo impegno sociale, non mi racconti del
socialismo. Mi interessa lei. La passione e niente altro, tutto
il resto è fuori, tutto il resto viene dopo, non importa
quando. Vogliamo intanto vederci per un giorno a Marradi? Se
non v’annoia troppo, se non siete troppo lontano. Io potrei
venire, mettiamo, mercoledì o giovedì, col primo
treno (8,55) e voi dirmi dove m’aspettereste. Credo che
ci si riconoscerebbe facilmente. Mi racconterete a voce quali
altri tic bisogna perdonarvi, oltre a quelli che bisogna ignorare…4
Affascinata dalle prime lettere scambiate con lui, Sibilla andò
da Dino, da Cloche (campana), come talvolta amava firmarsi.
Lei era bellissima, con il volto ovale, i capelli biondi, la
bocca sensuale; lui aveva i capelli tra il biondo e il rosso,
la pelle rosea, i baffi spioventi su labbra carnose, gli occhi
cangianti: la scintilla scoccò all’istante e immediata
fu tra loro anche la passione fisica.
La vicenda d’amore si snodò fra alti e bassi, fra
la fitta corrispondenza, i silenzi di lui, gli allontanamenti
ora dell’uno ora dell’altro, le liti, le riappacificazioni,
il peggioramento dei disturbi nervosi, le suppliche di entrambi
per una riconciliazione, gli arresti di Dino continuamente scambiato
per un tedesco, fino all’ultimo fermo, quello che lo condusse
nel manicomio di San Salvi.
Fu Sibilla a troncare la relazione con Dino, romantico, fragile,
ma anche violento, geloso del passato che lei non gli nascondeva,
e instabile (nella stessa giornata scriveva Cara signora, spero
che lei abbia capito che tra noi è finita e poi, tre
ore dopo, Amore mio, mi manchi, ti prego, vieni da me) e pervaso
da una carica autodistruttiva alla quale lei, ansiosa di vivere,
non volle mai piegarsi.
Rose
calpestava nel suo delirio
e il corpo bianco che amava.
Ad ogni lividura più mi prostravo,
oh singhiozzo, invano, oh creatura!
Rose calpestava, s’abbatteva il pugno,
e folle lo sputo su la fronte che adorava.
Feroce il suo male più di tutto il mio martirio.
Ma, or che son fuggita, ch’io muoia del suo male.5
S. Aleramo
Fu
davanti al cancello del manicomio che terminò definitivamente
il doloroso viaggio chiamato amore.
Scrisse Sibilla:
L’ho riveduto così, dopo nove mesi, attraverso
una doppia grata a maglia. Non ero mai entrata in una prigione.
E’ stato un colloquio di mezz’ora, i carcerieri
avevan quasi l’aria di patire sentendo lui singhiozzare
e vedendo me irrigidita. 6
Scrisse Dino:
Mi lasci qua nelle mani dei cani senza una parola e sai
quanto ti sarei grato. Altre parole non trovo. Non ho più
lagrime. Perché togliermi anche l’illusione che
una volta tu mi abbia amato è l’ultimo male che
mi puoi fare.7
Sibilla era stata il primo ed unico amore di Dino, ma anche
lei lo aveva molto amato; su quell'amore la scrittrice non riuscì
mai a scrivere un solo rigo, tanto grandi erano state le emozioni
fra loro, e la testimonianza di quella passione restò
affidata tutta al carteggio.
Dino Campana morì il 1° marzo del 1932 nell’Ospedale
psichiatrico di Castel Pulci, dov’ era stato internato
15 anni prima, a quarantasette anni, probabilmente per setticemia
causata dal ferimento con un filo spinato durante un tentativo
di fuga; Sibilla Aleramo continuò a scrivere e ad amare
fino alla fine dei suoi giorni.
Il suo ultimo grande amore fu il poeta, allora sconosciuto,
Franco Matacotta, lei sessantenne, lui ventenne; la storia della
loro relazione confluì nelle pagine del diario 1940-1944,
dal quale emergono tutte le tensioni derivanti da questo rapporto
complesso e difficile, in disparità anagrafica e differenza
intellettuale, che pure durò dieci anni.
Sibilla Aleramo visse gli ultimi anni della sua vita lottando
contro la povertà e la depressione, ma continuò
a viaggiare, ad incontrare amici e a scrivere il suo “Diario”.
Morì a Roma il 13 gennaio del 1960.
GUARDO
I MIEI OCCHI
Guardo
i miei occhi cavi d’ombra
e i solchi sottili sulle mie tempie,
guardo, e sei tu, mio povero stanco volto,
così a lungo battuto dal tempo?
Mi grava l’ombra d’un occulto sogno.
Ah, che un ultimo fiore in me s’esprima!
Come un’opaca pietra
non voglio morire fasciata di tenebra,
ma d’un tratto, dalla radice fonda,
alzare un canto alla ultima mia sera.
SFOGLIO
LE ROSE
Sfoglio
le rose
che m'hanno veduta piangere e sorriderti
e poi ardere bianca,
e metto fra i petali le mie dita
come fra le tue mani,
petali dolci e freschi
che or lancerò nell'aria
cantando sommessa, o amato,
perché tu non ti volga...
(S. Aleramo, Selva d’amore)
1)
Sibilla Aleramo, Un viaggio chiamato amore, Lettere,
1916-1918, Feltrinelli, 2002.
2) Foglio goliardico bolognese.
4) op. cit.
5) op. cit.
6) op. cit.
7) op. cit.
8) op. cit.
Bibliografia
Sibilla
Aleramo, Selva d’amore, Newton Compton, Roma,1980.
Sibilla Aleramo, Una donna, Feltrinelli, Milano, 1977.
Vincenzo Cardarelli, Lettere d’amore a Sibilla Aleramo,
Newton Compton, Roma, 1975.
Sibilla Aleramo, Lettere d’amore a Lina, Savelli, Milano,
1982.
Sibilla Aleramo, Amo, dunque sono, Mondadori, 1927.
Sibilla Aleramo, Diario di una donna, Feltrinelli, Milano ,1978.
Sibilla Aleramo, Un amore insolito, Feltrinelli, Milano,1979.
Sibilla Aleramo, Un viaggio chiamato amore, Lettere, 1916-1918,
Feltrinelli, Milano, 2002.
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