Francesca
Santucci
PIER
PAOLO PASOLINI: RAGAZZI DI VITA

Ingiuriato dalla furia omicida, con il volto tumefatto per i
colpi ricevuti, l’orecchio sinistro strappato via, quello
destro tagliato a metà, sul corpo i segni visibili dei
pneumatici di quella’auto che barbaramente ci era ripassata
sopra più volte: era il 2 novembre del 1975, aveva 53
anni Pier Paolo Pasolini, quando, come stabilì la magistratura
con frettoloso e lacunoso processo, morì assassinato
per mano di un "ragazzo di vita", Giuseppe Pelosi.
Una volta aveva scritto: Attratto da una vita proletaria…è
per me religione la sua allegria, non la millenaria sua lotta:
la sua natura, non la sua coscienza…
Affascinato dal vitalismo dei sottoproletari romani, dalla carica
umana che, pur immersi nell’abbrutimento, i suburbi conservavano,
da quella Roma marginale che aveva scoperto nella lunga frequentazione
del popolo di periferia, Pasolini non mancò di denunciarne
lo squallore, lasciandoci, in "Ragazzi di vita", romanzo
del ’55, un ritratto fedele dell’epoca. In chiave
naturalistica, che spesso induce a pensare al realismo ottocentesco
e a Verga, attraverso la vita di un gruppo di ragazzi dei suburbi,
il loro vagabondaggio, gli atti di teppismo, la noia e le avventure
minime, indagò sulla diversità sociale dei quartieri
poveri di Roma, visti come luogo primordiale, quasi stato di
natura, in qualche modo puro ed incontaminato come il mondo
friulano contadino nel quale affondava le sue radici. Contrariamente
ad "Una vita violenta", dove l’attenzione di
Pasolini è concentrata sul personaggio di Tommaso, eroe
positivo che prende coscienza, qui è protagonista la
varia eppure simile umanità dei borgatari. Dormì
alla chiarina, tenesse la cica, annasse a ripone a Caracalla,
me prenne er mammatrone: così si esprimevano quei ragazzi,
con una parlata a metà tra il dialetto e il gergo della
malavita, e si chiamavano Riccetto, Rocco, Alvaro, Alduccio,
in fondo interscambiabili fra loro, accomunati tutti dallo stesso
destino dal quale a salvarsi solo Riccetto, scegliendo d’integrarsi
nella società dei consumi attraverso il lavoro.
L’amore di Pasolini per il mondo descritto non lo allontanò
mai dalla lucida visione della tragedia insita nel destino dei
borgatari che, pur aderendo ai nuovi valori della società,
esplosi col boom economico, soggiogati dal fascino del denaro
e dei beni di consumo, ne restavano esclusi e subalterni.
Quando questo romanzo fu pubblicato Pasolini subì un
processo per oscenità, troppo crudo era apparso l’argomento
trattato , sottolineato anche dal punto vista linguistico dalla
coloritura dialettale; Moravia, invece, lo definì il
romanzo che con scandalo e forza di denuncia rivelò la
realtà "diversa" del sottoproletariato romano".
Nonostante le contraddizioni che possono essere rilevate, vale
la pena rileggerlo perché voce "diversa" nel
panorama letterario di quegli anni di un autore scomodo, che
pagò di persona l’adesione a quel mondo di cui
era stato appassionato interprete.
Francesca
Santucci
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