Francesca
Santucci
LA
"NATIVITA' MISTICA" DI SANDRO BOTTICELLI

Sandro
Botticelli, Natività mistica, 1501, Londra,
National Gallery
In
quei giorni, voluto dell’imperatore Augusto, era bandito
il censimento generale dell'Impero Romano, che imponeva ai sudditi
di farsi registrare negli elenchi delle città d’origine,
perciò Giuseppe, della stirpe di David, per dare il suo
nome, si recò da Nazareth a Betlemme insieme a Maria,
prossima al parto.
Ma le strade erano affollate di pellegrini, Maria era in travaglio,
e i due sposi non trovavano posto in alcun alloggio; allora
furono costretti ad adattarsi ad un riparo di fortuna (l’evangelista
Luca non specifica, ma lascia intendere che potesse trattarsi
di una stalla o di una tettoia per gli animali; nell'apocrifo
dello pseudo-Matteo, invece, si parla chiaramente di una grotta,
con l'asino e il bue, confluiti, poi, nell'immagine popolare
e devozionale e nella rappresentazione del presepe).
E così il bambino nacque in una stalla e la madre lo
pose in una mangiatoia, sulla paglia, dove a riscaldarlo c’erano
solo i fiati di un bue e di un asinello, ed in cielo apparve
una luce sfolgorante, ed un angelo discese fra i pastori che
vegliavano le greggi ad annunciare la nascita e ad esortarli
ad accorrere per rendere omaggio al Figlio di Dio, che la Madre,
con in cuore la grazia che dilagava, già adorava.
Ecco come, in termini alquanto sintetici, il Vangelo di Luca
descrive l'episodio:
Anche
Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla
città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea
alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare
insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si
trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.
Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce
e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto
per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori
che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un
angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria
del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande
spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi
annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:
…oggi vi è nato nella città di Davide un
salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il
segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una
mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine
dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: "Gloria
a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini
che egli ama". Appena gli angeli si furono allontanati
per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: "Andiamo
fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci
ha fatto conoscere". Andarono dunque senz'indugio e trovarono
Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia.
E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era
stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle
cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte
queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono,
glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito
e visto, com'era stato detto loro.
(Vangelo secondo Luca, II, 4)
Così,
invece, nel racconto dello pseudo-Matteo:
[2]
Ciò detto, l'angelo ordinò di fermare il giumento,
essendo giunto il tempo di partorire; comandò poi alla
beata Maria di discendere dall'animale e di entrare in una grotta
sotto una caverna nella quale non entrava mai la luce ma c'erano
sempre tenebre, non potendo ricevere la luce del giorno. Allorché
la beata Maria entrò in essa, tutta si illuminò
di splendore quasi fosse l'ora sesta del giorno. La luce divina
illuminò la grotta in modo tale che né di giorno
né di notte, fino a quando vi rimase la beata Maria,
la luce non mancò. Qui generò un maschio, circondata
dagli angeli mentre nasceva. Quando nacque stette ritto sui
suoi piedi, ed essi lo adorarono dicendo: "Gloria a Dio
nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di
buona volontà.
(Pseudovangelo di Matteo, 13, 2)
La
scena della Natività (che ricorda, appunto, la nascita
di Gesù a Betlemme, nell’oscurità della
notte, in un silenzio carico di attesa, a cui seguono i dolori
del parto di Maria, il vagito del Bambino, lo sfavillio del
concerto degli angeli, il pellegrinaggio dei pastori, l’apparizione
della stella che indica il cammino ai Magi, partiti dall’Oriente
per adorare il Messia, la cui venuta era stata vaticinato da
antiche profezie), insieme alla Crocifissione è uno dei
temi più rappresentati nell’Arte, perché
momento altamente poetico, ricco di dettagli ambientali, personaggi,
animali, luci e suoni, e perché portatore di un messaggio
universalmente comprensibile e valido in ogni tempo: la venuta
di Colui che porterà la pace.
Fra i vari dipinti sul tema della Natività, rilevante
è la Natività mistica di Sandro Botticelli.
Versatile e prolifico (fra ritratti, allegorie, soggetti religiosi,
mitologici e letterari, si contano circa centocinquanta dipinti,
e ancora più abbondanti sono i lavori di bottega, una
quantità eccezionale per un artista del XV secolo), famoso
soprattutto per i soggetti d’ispirazione mitologica, grandi
allegorie profane, trasposizioni pittoriche di raffinate idee
letterarie e filosofiche, create per i Medici sotto i consigli
del poeta Poliziano e del filosofo neoplatonico Marsilio Ficino,
sostenute da un disegno d’impeccabile nitore, l’uso
di un colore limpido e preziose velature, opere unanimemente
considerate capolavori della cultura umanistica del secondo
Quattrocento, tanto da essere diventate il simbolo stesso di
Firenze e della splendida età di Lorenzo il Magnifico,
Sandro Botticelli fu il primo artista del Rinascimento ad interpretare
i soggetti mitologici con l’impegno tradizionalmente riservato
a quelli religiosi: sia le sue dee che le Madonne hanno identica
bellezza e splendore.
Interprete privilegiato di un momento altissimo dell’arte
e della cultura, sarebbe riduttivo, però, limitarne la
conoscenza ai capolavori medicei della maturità; il suo
itinerario artistico fu lungo, mosse dal cuore dell’Umanesimo
giungendo fin quasi alle porte del Manierismo, e subì
anche un radicale ripensamento dopo la morte di Lorenzo il Magnifico
e sotto le suggestioni delle predicazioni morali del Savonarola,
facendolo sprofondare in una fase di severa introspezione: allora
la sua pittura divenne più arrovellata ed amara, e nacquero
opere di sofferta spiritualità, come la Natività
mistica.
…
Mise in stampa ancora molte cose sue di disegni che egli aveva
fatti, ma in cattiva maniera, perché l’intaglio
era mal fatto, onde il meglio che si vegga di sua mano è
il trionfo della fede di fra’ Girolamo Savonarola da Ferrara:
della setta della quale fu in guisa partigiano, che ciò
fu causa che egli abbandonando il dipingere e non avendo entrate
da vivere, precipitò in disordine.
(vita
di Sandro Botticello, Vite, Vasari)
L’ultimo
decennio della vita di Botticelli trascorse in relativa oscurità,
secondo il Vasari perché influenzato del Savonarola,
probabilmente anche per il rifiuto di adeguare la sua pittura
alle novità dei tempi, non interessato alla ricerca scientifica
dell’anatomia umana o al chiaroscuro, che caratterizzavano,
invece, il lavoro di Leonardo, rientrato a Firenze nel 1500,
e testimonierebbe ciò proprio il suo ultimo capolavoro,
la Natività mistica, in cui, indifferente alla resa naturalistica
dei soggetti, alla quale tanto aspiravano gli artisti fiorentini
contemporanei, si affidò a soluzioni arcaiche, rifacendosi
a modalità rappresentative tipiche dell’arte medioevale
(le figure disposte secondo un sistema prospetticamente incongruo,
la Vergine con proporzioni maggiori di quelle assegnate ai pastori
adoranti), compiendo un passo indietro rispetto al profondo
spirito umanistico delle sue composizioni precedenti, ma la
Natività mistica, uno dei dipinti più originali
ed intensi della storia dell’arte, l’unico, giunto
fino a noi, firmato e datato da Botticelli, va certamente interpretata
considerando il momento di grave crisi spirituale di quegli
anni.
E’ lo stesso Botticelli che, in una lunga ed enigmatica
scritta in greco, in allusione ai problemi dell’Italia,
precisa di aver dipinto quest’opera nel 1501, in un momento
di turbamento politico e religioso, collegabile alle profezie
contenute nell’Apocalisse:
Questo
dipinto sulla fine dell’anno 1500 durante i torbidi d’Italia
io Alessandro dipinsi nel mezzo tempo dopo il tempo e al tempo
del concepimento dell’XI di S. Giovanni, nel segno del
dolore dell’Apocalisse nella liberazione di tre anni e
mezzo del diavolo; poi dovrà essere incatenato il XII
e noi lo vedremo precipitato come nel dipinto.
Nel
dipinto è adottata l’iconografia mista della grotta
e della capanna, la caverna è dotata di tettoia; gli
angeli, con le corone (simbolo di regalità) e i rami
d’ulivo (simbolo di pace, spesso richiamati nella composizione,
perché l’artista era angosciato per la situazione
in cui versava Firenze dopo la cacciata dei Medici), descrivono
un armonioso girotondo tra le sfere celesti, simboleggiate dalla
cupola dorata, ed il mondo terreno; gli angeli indicano Gesù
Bambino ai pastori e ai re Magi; creature celesti e terrene
convulsamente si stringono nell’abbraccio, simbolo della
pace e dell’amore che regneranno dopo la seconda venuta
di Cristo.
Di elevata spiritualità, pur avendo un tono popolaresco,
non solo nei contenuti, ma anche nella formulazioni pittoriche
arcaiche (la gerarchia proporzionale dei personaggi, l’uso
di colori simbolici, le figure demoniache trafitte in primo
piano, simbolo della sconfitta del male e del trionfo del bene),
per la presenza dell’iscrizione in greco l’opera
non doveva essere accessibile a tutti.
Non è difficile cogliere, dietro la rappresentazione
del sacro momento della Natività, dietro la gioia per
il mistico avvenimento, l’inquietudine ed il tormento
dell’artista (San Giuseppe ripiegato dolorosamente su
se stesso, i tragici abbracci degli angeli, l’oscura e
sibillina scritta in greco allusiva ai “torbidi”
d’Italia), il messaggio più squisitamente politico,
l’ansia di pace (perciò il ricorrere dei rami d’ulivo
nel dipinto) e lo spirito dell’austera religiosità
del Savonarola: la tavola rappresenterebbe il parto della “Donna
vestita di sole” dell’Apocalisse che, secondo il
predicatore, era un’immagine della Chiesa:
Nel
cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole,
con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di
dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio
del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme
drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette
diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle
del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti
alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena
nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare
tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito
rapito verso Dio e verso il suo trono.
(Apocalisse di Giovanni, 12, 1)
Botticelli
era partigiano, come lo definisce il Vasari, cioè acceso
sostenitore del Savonarola (ma anche suo fratello Simone era
un fervente discepolo), tragicamente ucciso solo due anni prima
dell’esecuzione di questa tela.
Nel 1498, infatti, arrestato con l’accusa di eresia (ma,
soprattutto, per essersi scagliato contro la degenerazione morale
dei costumi della città di Firenze, corrotta dalla licenziosità,
dal paganesimo e dallo strapotere della famiglia al governo,
i Medici), proprio in piazza della Signoria, dove aveva tenuto
le sue prediche e bruciato gli oggetti della vanità terrena
(carte, dadi, gioielli, ornamenti, cosmetici, giochi, libri,
dipinti) con il consenso popolare (ma poi i fiorentini gli avevano
sottratto il loro favore), insieme a due dei suoi più
stretti seguaci, il frate domenicano era stato impiccato ed
arso sul rogo:
In
poche ore furono arsi, le gambe e le braccia si staccarono a
poco a poco e, poiché alcune parti restavano ancora appese
alle catene, vi si gettarono contro delle pietre per farle cadere,
nel timore che la folla cercasse di impadronirsene; poi il boia
e i suoi aiutanti fecero a pezzi il palo del supplizio e lo
bruciarono. Indi, con un mucchio di sterpaglia, attizzarono
le fiamme sui resti dei giustiziati, in modo da distruggerne
ogni traccia.
I
discorsi del Savonarola contro la libertà dei costumi
e la corruzione del tempo, gli “incendi della vanità”
nelle piazze fiorentine, insinuarono a tal punto dubbi e scrupoli
nell’anima ipersensibile dell’artista, anche sulla
sua attività passata, che, da allora in poi, fino alla
morte, avvenuta nel 1510, nei suoi dipinti utilizzò ancora
temi storici e mitologici ma unicamente come simboli di messaggi
morali (ad esempio, nella Calunnia di Apelle), accumulando nei
quadri sacri degli ultimi anni, come, appunto, la drammatica
Natività, allusioni moralizzatrici ed iscrizioni sibilline
sulle turpitudini dell’Italia e sulla loro imminente sconfitta.
Francesca
Santucci
BIBLIOGRAFIA
La
Sacra Bibbia, edizione ufficiale della CEI, Roma, 1980.
Episodi e personaggi del Vangelo, I parte, Electa, Roma, 2004.
Vangeli apocrifi, Einaudi, 1997, Milano.
I Grandi musei, National Gallery, Touring club italiano, Torino,
1977.
Botticelli, Elemond Arte, Milano, 1992.
I grandi pittori, Rinascimento, I parte, Istituto Geografico
De Agostini, Novara, 1986.
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