Francesca
Santucci
(dal libro “Donne protagoniste”, Il Foglio 2004)
CAMILLE
CLAUDEL
(1864-1913)

Genio,
passione, solitudine, miseria e follia nella vita della scultrice
francese Camille Claudel, allieva ed amante del grande Auguste
Rodin, il cui valore personale e contributo all’arte del
Maestro aspettano ancora di essere pienamente considerati.
“Ha una natura profondamente personale, che attira per
la grazia ma respinge per il temperamento selvaggio”:
lo scultore francese Rodin, uno dei maggiori artisti della sua
epoca che, partito da suggestioni michelangiolesche, esaltandone
il “non finito”, seppe dar vita a creazioni talvolta
impressioniste talvolta simboliste di rara potenza, così
si espresse su Camille Claudel, sua modella e musa, poi allieva,
già dotata di grande talento, infine artista originale,
diventata scultrice per scolpire il suo amore per colui che
tutto le aveva insegnato e la cui lezione così bene aveva
appreso (“Le ho mostrato l’oro, ma l’oro che
trova è tutto suo”, Rodin).
Camille, nata a Fère-en-Tardenois l’8 dicembre
del 1864, voleva diventare scultrice già dall’età
di dodici anni, e fu proprio la costanza con cui si applicava
alla modellatura che convinsero suo padre a darle il permesso
di studiare a Parigi, privatamente e presso l’Académie
Colarossi, sotto la guida dello scultore Boucher.
A 18 anni espose per la prima volta al Salon; subito dopo ci
fu l’incontro con Rodin, che aveva ventitré anni
più di lei.
Camille era bellissima! Fronte superba e magnifici occhi azzurri,
come annotò suo fratello Paul, il celebre poeta e diplomatico:
“Un front superbe, surplombant des yeux magnifiques, de
ce rare bleu si rare à rencontrer ailleurs que dans les
romans”.
Da subito li legò una grande passione, ed anche una reciproca
influenza (lui ritrasse lei e lei ritrasse lui) e grande collaborazione
(fu Camille a modellare le mani e i piedi nelle figure della
Porta dell’Inferno), ma Rodin aveva un’altra donna,
Rose Beuret, ed anche un figlio con lei, di due anni minore
di Camille, e mai avrebbe rinunciato alla fedele compagna che
gli perdonava le numerose avventure. Per questo motivo tormentato
fu il rapporto fra i due artisti, raccontato dallo scultore
in decine e decine di disegni, ora conservati al Museo Rodin
di Parigi, anche nei risvolti erotici, come del resto fece Camille
nelle sue sculture, dando vita ad un kamasutra artistico ispirato
al famoso poema indiano Sakuntala, rielaborato tra il IV e il
V secolo a. C. dal poeta Kalidasa,1 raccontato da Vyasa nel
Mahabharata ,2 poi tradotto magistralmente da Goethe, al quale
s’ispirarono pure Schubert nel Singspiel Sakuntala, nel
1820, e Alfano nella Leggenda di Sakuntala, nel 1921, in cui
è protagonista la leggiadra ninfa Sakuntala che cerca
il suo sposo scomparso.

Camille Claudel, “La Valse”
Dopo
gli anni dell’intensa passione, artisticamente espressa
con la scultura in bronzo “La Valse”, del 1891,
in cui Camille scolpì una coppia che balla un valzer
appassionatamente, dopo una sua breve relazione col compositore
Claude Debussy (incontrato nel salotto del poeta Mallarmé),
che irritò Rodin ma non lo spinse ad abbandonare Rose,
come avrebbe desiderato la giovane compagna, nel 1892 tra i
due avvenne la rottura definitiva, avendo la donna tristemente
compreso che mai sarebbe diventata la moglie di Rodin; allora
Camille intraprese un percorso personale di autoaffermazione.
Nacquero in questi anni opere come “Clotho” nel
1893, le varie versioni di la “Petite Châtelaine”,
iniziato nel 1893 e poi ripreso nel 1895 e nel 1898, e nel 1907,
“l'Age mûr”, il suo capolavoro.
Espressione artistica del distacco da Rodin, “L'Age mûr”,
“L’età matura”, è una scultura
in cui è ritratta una giovane donna in ginocchio che
protende le braccia verso un uomo più anziano che, voltato
di spalle, si lascia portare via da una donna pure anziana:
facilmente riconoscibili nell’uomo anziano e nella donna
giovane Camille e Rodin, nella donna anziana forse Rose o forse,
più simbolicamente, la morte.

Camille Claudel, “L'Age mûr”
Nel
1897 realizzò “les Causeuses”, tra il 1886
e il 1888 “Sakuntala”, l'imponente gruppo scultoreo
in bronzo ispirato al dramma indiano, e nel 1900 la “Vague”,
testimonianza del profondo mutamento artistico avvenuto in Camille,
avvicinatasi all’arte giapponese assimilata anche dall’Art
Nouveau, utilizzando, nelle sue nuove raffinate creazioni, un
materiale prezioso come l’onice.
Intanto si aggravavano i segni di un disordine mentale palesatosi
già nel 1896: Camille cominciò a soffrire di manie
di persecuzione, e nel processo di annientamento di se stessa
arrivò anche a distruggere le sue opere.
Nel 1913 fu fatta rinchiudere in un manicomio vicino Parigi
dalla madre e dal fratello Paul. Successivamente trasferita
nel manicomio a Montdevergues, vi morì il 19 ottobre
del 1943, in solitudine ed abbandono, aspettando invano la visita
della sorella e della madre, alla quale aveva ripetutamente
chiesto di essere riaccolta in casa: “Se tu mi concedessi
soltanto la stanza della signora Régnier e la cucina,
potresti chiudere il resto della casa. Non farei assolutamente
nulla di riprovevole. Ho sofferto troppo…”
Nei trent’anni d’internamento non aveva mai più
né disegnato né modellato.
Così, riassumendo l'amara vicenda della sua vita, la
ricordò suo fratello Paul:
“... mia sorella Camille aveva una bellezza straordinaria,
ed inoltre un'energia, un'immaginazione, una volontà
del tutto eccezionali. E tutti questi doni superbi non sono
serviti a nulla; dopo una vita estremamente dolorosa, è
pervenuta a un fallimento completo”.
Francesca
Santucci
1)
Poeta classico indiano del V sec. d.C.
2) Monumentale poema epico della letteratura indiana
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